venerdì 8 febbraio 2013

Pantelleria dagli strani Sesi ai caratteristici Dammusi

Dammuso
 Dammuso

La movimentata storia dell’ isola di Pantelleria è dovuta all’ importanza della sua posizione geografica ed è strettamente collegata al mare. Infatti dal mare arrivò, il popolo dei Sesioti, per estrarre l’ossidiana la pietra nera e lucida considerata l’oro della preistoria. Questo popolo lasciò tracce molto importanti:hanno dimostrato di possedere metodi costruttivi ed architettonici ben distinguibili da altri popoli presenti nel Mondo Antico.Eccezionali sono le tracce che oggi si possono ammirare. Prima di tutto l’insediamento preistorico ubicato in località Mursia. Si tratta di un villaggio fortificato, costruito a strapiombo sul mare, circondato da un possente muro(il più grande muro preistorico del Mediterraneo finora scoperto). Un’opera di grande abilità costruttiva che questo popolo ci ha tramandato insieme alle capanne che oggi sono parzialmente visibili. La natura dell’isola, così varia e unica nel Mediterraneo,ha sensibilmente influenzato gli uomini, che per millenni l’hanno abitata. Altro importantissimo passo avanti evolutivo del modello preistorico avviene con l'introduzione della costruzione delle cisterne. La funzione principale di queste era quella di raccogliere e conservare la preziosa acqua piovana dando così sicurezza agli abitanti. Questo impegno costruttivo durante il periodo punico-romano fu così grande e imponente tanto da rivoluzionare il territorio.Sorsero centinaia di fattorie e si cominciò a sfruttare dal punto di vista agricolo ogni angolo di Pantelleria. Oggi sono migliaia le cisterne disseminate per tutta l’isola. Ma la cosa più importante è che queste ancora oggi dopo quasi 2500 anni sono perfettamente funzionanti, senza che l’uomo sia intervenuto nel tempo tranne che per la periodica pulizia. A questo punto ci chiediamo: quale materiale edilizio - tecnologico dei tempi nostri potrà mantenere una così lunga durata per secoli e secoli? Queste tipologie di costruzione furono così funzionali tanto da essere usate per molti secoli, nonostante vari furono i popoli che abitarono l’isola. 


    Il Dammuso le origini

     Nel X sec. D.C. nasce il simbolo architettonico di Pantelleria: il dammuso, che si evolverà nel tempo fino al XVII sec. Analizzando il modello con le conoscenze attuali si può pensare che il dammuso sia stato progettato da ingegneri, architetti ed ecologisti. L’eccezionale spessore dei muri è necessario per assorbire le spinte delle cupole,la forma particolare di questi tetti è stata concepita anche per permettere la canalizzazione dell’acqua piovana verso le cisterne, poste in prossimità del dammuso, senza perderne una sola goccia. I possenti muri del dammuso permettono di isolare l’interno dalla temperatura esterna tanto da creare un ambiente fresco d’estate e caldo d’inverno. Gli elementi che completano l’unità base del dammuso da abitazione sono: il forno, le stalle, l’aia, lo stenditoio, il "passiaturi" e "U Jardinu".



    giovedì 7 febbraio 2013

    La perla nera del Mediterraneo

    Ustica
    Solitaria in mezzo al mar Tirreno, splende una piccola perla: Ustica. Un viaggio nel profondo blu, nel paradiso delle vacanze per gli amanti del mare e della subacquea. Un percorso, tra terra e mare, ricco di scoperte ed emozioni; un viaggio nel “caos calmo” di un’isola decisamente diversa dalle altre. Questa piccolissima isola vulcanica di soli 9 kmq circa, parte emersa di un grande vulcano sottomarino, è anche la più antica, affiorata molto prima delle Eolie. La sua origine e il colore nero della lava determinano la scelta del nome, dal latino ustum, che significa bruciato. Qui c’è un forte contrasto ottico tra il nero delle rocce, il bianco e il colore delle case del centro abitato che si aprono ad anfiteatro sul porto Cala Santa Maria. Nel 1987 è stata dichiarata riserva marina, per preservare e proteggere l’immenso patrimonio faunistico e ambientale che si cela nel suo mondo sommerso.

    mercoledì 6 febbraio 2013

    Capire la Sicilia

    JPEG - 43.5 Kb
    Consolo Sciascia Bufalino
    "Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l'oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura, secondo che ci tenti l'espatrio o ci lusinghi l'intimità di una tana, la seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L'insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi. „
                                                                                                        Gesualdo Bufalino


    martedì 5 febbraio 2013

    Nobile e barocca Poggioreale ovvero Elima


    File:Corredo.JPG
    Corredo funebre territorio di Poggioreale periodo  Elimo
    Nobile e barocca, Poggioreale, in provincia di Trapani, fa parte di quei comuni violentemente funestati dal terremoto del 1968. Da 45 anni non ha conosciuto altro che un lento, drammatico e inesorabile declino. I suoi abitanti, costretti a lasciarla all’indomani della tragedia, oggi guardano con preoccupazione al futuro di un paese che rischia di scomparire nell’oblio e si affidano anche a Facebook per salvare le meraviglia di una città pronta a riconquistare la sua suggestiva visione. E’ la terra degli “Elimi”, misterioso popolo che per più di un millennio si insediò in quella parte di Sicilia dominata dalla superba Segesta, ovvero Poggioreale, in Provincia di Trapani. Un piccolo centro che sorge su quella Valle del Belice tristemente nota ai più per la funesta scossa che nel 1968 rase al suolo diversi comuni nella parte occidentale dell’isola. Poggioreale reca ancora oggi, a distanza di 45 anni, i segni di quella “freccia” che la colpì dritta al cuore e la ragione è da ricercare nel fatto che ben lungi dal cicatrizzarsi, quella ferita sanguina ancora. Quel che resta dell’antico centro barocco non è quello che ci è stato restituito dal terremoto. Negli anni si sono avvicendati numerosi crolli che stanno conducendo all’inesorabile, impotente declino di un pezzo della valle del Belice, ma soprattutto alle perdita di uno spaccato di vita contadina, di tecniche costruttive, di un patrimonio archeologico notevole. Sul vicino Monte Castellazzo nelle campagne di scavi nel periodo 1974-79 sono emersi i resti di capanne della media età del Bronzo (1.400-1.300 a.C.) I successivi scavi del 1981, sotto il coordinamento del Dott. G. Falsone, permisero di individuare una nuova fase più antica risalente, addirittura, alla fine dell'età del Rame o agli inizi del Bronzo Antico (2000 a.C La ricchezza di Poggioreale è certificata dall’origine del suo nome, derivante dal latino“Podus Riali” ovvero “Poggio degno di un Re” perché sorge su una collina da cui è godibile una splendida vista e un clima mite. Il suo fiore all’occhiello è sicuramente il centro storico, scelto dal regista Giuseppe Tornatore come set di due fra i suoi più celebri film: “Malena” e “L’uomo delle stelle”. Ciò perché al di là della tragedia che l’ha colpito, Poggioreale rimane un luogo incantato e chiunque abbia fatto l’esperienza di passeggiare fra quei ruderi, non ha potuto fare a meno di respirare l’atmosfera magica che promana dalle sue antiche strade. Nonostante i media non se ne occupino più perché la tragedia del Belice sembra ormai archiviata, nei fatti sono numerosi i turisti che in qualsiasi stagione dell’anno visitano l’antico borgo barocco. E, oltre ai turisti, c’è qualcuno che ama questo paese dimenticato, i poggiorealesi che non hanno mai abbandonato il ricordo delle strade e dei vicoli della città antica, che sopravvive imperiosa e regale a dispetto degli eventi.

    La città di Elima

    Molti storici hanno voluto in maniera del tutto arbitraria identificare la città di Elima con Erice, ritenendo pertanto che una città di nome Elima non sia mai esistita. Se le fonti attestano dell'arrivo di un Elimo, di nobili discendenze, al punto tale che il popolo da lui prese il nome, si deve ritenere che allo stesso modo di come Segesta prese nome dall'eponimo Aceste, debba essere esistita una città Elima dall'eponimo Elimo. Lo storico Dionigi di Alicarnasso riporta che Enea giunto in Sicilia, incontratosi con Aceste e Elimo, dimostrò loro la sua amicizia col fondare per essi le città di Segesta e di Elima.     Lo storico Aloisio pone, con certezza, la costruzione della città di Elima  sul monte Castellazzo di Poggioreale, afferma che non si trattò di una città grande e importante quanto Segesta, destinata a diventare il centro politico degli Elimi, ma che ebbe una connotazione di fortilizio, posta in una posizione strategica a controllo della via del Crimiso destro (Belice), a suo tempo un fiume navigabile, che da Selinunte conduceva al punto di confluenza,in uno snodo cruciale per raggiungere Agrigento-Siracusa o per raggiungere la città di Schera (Corleone) e Makella (Marineo) e da lì seguendo il corso dell'Eleuterio il mare dei Tirreni e Himera.

    lunedì 4 febbraio 2013

    Un viaggio d’incontro tra Grecia e Sicilia

    Castello colle Eufemio
    Segesta tempio Dorico
    Un viaggio in uno dei luoghi più suggestivi della Sicilia: Calatafimi Segesta e il suo sito archeologico. Si rimane affascinati da quest’antica città, fondata dal popolo degli Elimi dell’antica Troia, e dai tesori che conserva. “All’estremità di una valle lunga e larga, isolato in vetta a una collina e insieme cinto da rupi, domina lontano un’ampia distesa di terra, ma solo un breve tratto di mare. Il paese d’intorno è immerso in una fertilità malinconica, tutto coltivato, eppure quasi privo di abitazioni umane”. Con queste parole Goethe descrisse, nel 1787, il maestoso tempio dorico di Segesta. Il piccolo comune di Calatafimi Segesta, conosciuto da molti con il solo nome di Segesta per la zona del parco archeologico che ospita, è collocato tra morbide e ridenti colline nella provincia di Trapani, dalle quali è possibile scorgere l’azzurro del mare di Castellammare del Golfo.

    sabato 2 febbraio 2013

    E vui durmiti ancora! ..

    E vui durmiti ancora! è il titolo di una poesia siciliana scritta da Giovanni Formisano nel 1910 e musicata da Gaetano Emanuel Calì. Il Calì ebbe modo di leggere i versi del suo concittadino e la bellezza del testo lo colpì così tanto che, spinto dall'ispirazione, in una notte ne compose la musica. Tuttavia la versione musicata rimase solo un progetto personale e dovette attendere il 1927 per essere finalmente incisa. "Si dice che fosse il 1916. Sul fronte della Carnia si fronteggiavano gli austriaci e due reggimenti formati da Siciliani. Si sparavano e si ammazzavano. Una sera, splendendo la luna, uno dei nostri, un soldato siciliano, prese la sua chitarra e cantò. E mentre cantava, gli spari cessarono. E quando finì di cantare, gli austriaci applaudirono. Questa canzone, cantò il soldato. Non era quello il suo posto, in mezzo alla Morte. E lui invocò il suo posto." ...E vui durmiti ancora!


    E vui durmiti ancora! 


    Lu suli è già spuntatu ni lu mari 
    e vui bidduzza mia durmiti ancora
    l'aceddi sunnu stanchi di cantari

    e affriddateddi aspettanu ccà fora,

    supra 'ssu balcuneddu su' pusate

    e aspettunu quann'è cca v'affacciati.

    Lassati stari, non durmiti chiùi,
    ca 'mmenzu ad iddi dintra a 'sta vanedda
    ci sugnu puru iù c'aspettu a vui
    pri vidiri 'ssa facci accussi be
    passu ccà fora tutti li nuttati

    e aspettu sulu quannu v'affacciati.
    Li ciuri senza vui nun ponu stari
    su tutti ccu li testi a pinnuluni,

    ognunu d'iddi non voli sbucciari
    su prima non si grapi 'ssu balcuni,
    dintra lu buttuneddu su' ammucciati
    e aspettunu quann'è cca v'affacciati.
    Lassati stari, non durmiti chiùi,

    ca 'mmenzu ad iddi dintra a 'sta vanedda

    ci sugnu puru iù c'aspettu a vui
    pri vidiri 'ssa facci accussi bedda
    passu ccà fora tutti li nuttati
    e aspettu sulu quannu v'affacciati.
    passu ccà fora tutti li nuttati
    e aspettu sulu quannu v'affacciati































    Misteriose rovine sommerse nel Canale di Sicilia

    1957, 2010: due occasioni in cui sono state individuate misteriose rovine sommerse sui fondali del Canale di Sicilia, tra l'isola di Linosa ed il Golfo della Sirte. Il pensiero istintivamente corre alle cittadine sommerse individuate alcune decine di anni fa al largo delle coste israeliane e risalenti al 6000 a. C. circa. Le ricerche geologiche d'altra parte confermano che vaste aree tra la Tunisia e la Sicilia, oggi in fondo al mare, erano allora all'asciutto e dunque potevano ospitare anche centri abitati. Forse anche il misterioso Lago Tritonide, sede del Regno delle Amazzoni, citato da molti autori antichi e sommerso dal mare, poteva corrispondere ad un lago tunisino ora non più esistente. Nell'estate del 1957 il capitano Raimondo Bucher, esperto subacqueo effettuò insieme al fratello alcune immersioni presso l'Isola di Linosa. Secondo il suo resoconto all'agenzia "Italia",i due sommozzatori si imbatterono in una vera e propria muraglia sommersa lunga un centinaio di metri e costituita da massi regolarmente squadrati che strapiombavano fino ad una profondità di 55-60 metri. Tutta questa storia dopo gli anni cinquanta sembrava essere stata dimenticata, ma proprio in questi ultimi tempi è tornata alla ribalta in seguito ad un'altra curiosa notizia. Alla fine di gennaio del 2010 le agenzie di stampa hanno infatti battuto il seguente comunicato: "Mezzi della Marina libica avrebbero scoperto, sui fondali al centro del Mar Mediterraneo, cospicue tracce d'interesse archeologico, tra cui anche i resti di diversi edifici di tipo urbano. Si tratta forse dei reperti dell'antica capitale di Atlantide? Trapelava la notizia che resti di costruzioni di importanza notevole sarebbero stati individuati a quasi 400 metri di profondità, sopra un fondale piuttosto basso. Il ritrovamento è avvenuto in alto mare, in una località che non viene esattamente rivelata, tra il Canale di Sicilia e le acque del Mediterraneo orientale. Frammenti di sculture, diversi oggetti metallici d'uso comune e la testa di Melqart (eroe semi-divino),sono stati portati a riva e sono ora allo studio presso i competenti uffici archeologici di Stato della Jamahiriya. La notizia appare di primaria importanza, perché la localizzazione sembra confermare alcuni studi su Atlantide, compiuti da un noto studioso italiano. Lo studioso in questione è Alberto Arecchi che localizza il sito della leggendaria isola platonica appunto nel Canale di Sicilia, mettendola in correlazione anche con le misteriose civiltà del Nord-Africa.