giovedì 5 dicembre 2013

La rete viaria nella Sicilia Greca

“Dove c’è una trazzera di lì passa la storia”

 Recuperare la memoria storica degli antichi percorsi viari e con essi tutte le testimonianze come città, fondaci, abbeveratoi, stazioni di posta, ponti che si avvicendavano via via lungo le strade significa restituire identità storico -culturale ad un paese. Se dovessimo rispondere alla domanda cos ‘è una strada, potremmo dire che essa è un contenitore culturale o, meglio, una costruzione umana, voluta da un gruppo sociale, per soddisfare necessità militari, economiche, sociali, religiose e di trasporto.

 L'immenso patrimonio delle trazzere, formatosi nel corso dei millenni, andò sviluppandosi in epoca preistorica per la transumanza degli animali e per collegare tra loro i primi centri abitati che si andavano costituendo nell'isola, subì ulteriori incrementi quando tra il II e il I millennio aumentarono le necessità legate ai collegamenti e agli scambi. L'importanza delle trazzere era strettamente legata all'importanza dei centri che esse collegavano. Alcuni esperti di linguistica fanno derivare il termine "trazzera" dal latino "tractus" (tracciato).

 Gli antichissimi tracciati dovevano fondarsi sul sistema delle trazzere:'archeologo Paolo Orsi l'aveva intuito in occasione del rinvenimento a Siracusa di un tratto di una "antichissima arteria stradale", tenuta in attività fino a circa la metà dell'800, e a suo giudizio certamente greca, infatti osservava: "Chi ponesse mano all'attraente e nuovissimo studio della viabilità antica arriverebbe alla singolare conclusione, che quasi tutte le vecchie trazzere non erano in ultima analisi che le pessime e grandi strade dell’antichità greca e romana, e talune, forse, rimontano ancora più indietro".
Col termine Regie trazzere, in uso nel XIX secolo si denominarono, poi le trazzere del Demanio Regio che si collegavano tra loro. La costruzione delle strade carrozzabili avvenne, in Sicilia, solo attorno al 1778.

 Trazzera delle vacche e trazzera dei Jenchi 

Trazzera delle vacche e trazzera dei Jenchi
La cartina, sotto riportata riproduce una lunga direttrice, usata per la transumanza, tra III e I millennio a. C. È la trazzera delle vacche che parte da Cesarò, si dirige su Catenanuova, segue il corso del Dittaino, punta su Calascibetta e Caltanissetta dirigendosi poi verso ovest ove tra Catronovo e Cammarata si ricongiunge alla Via De' Jenchi, questa percorre la strada per Prizzi punta su Corleone, il Castello Calatrasi e Salemi e poi perdersi nel trapanese.

venerdì 13 settembre 2013

La Rivolta del Sette e Mezzo



La rivolta del sette e mezzo fu la sollevazione popolare avvenuta a Palermo dal 16 al 22 settembre 1866. Chiamata del "sette e mezzo" perché durò sette giorni e mezzo.

Le cause

 Tra le cause: la crescente miseria della popolazione, il colera e le sue 53 000 vittime, le terre ecclesiastiche destinate alla redistribuzione e assegnate ai contadini, vennero in realtà vendute all’asta e di conseguenza furono acquistate da grossi proprietari terrieri,l'integralismo dei funzionari statali piemontesi, che consideravano "quasi barbari i palermitani",le pesanti misure poliziesche e vessatori introdotte,il sacrificio produttivo” che il governo piemontese attuò nel Sud Italia, per favorire l’economia settentrionale; la povertà dei redditi agricoli,e per capire ciò, basta andare ad equipararli con quelli della Lombardia: nel 1866 in Sicilia, un ettaro di superficie produttiva rendeva mediamente 74 lire, a fronte di quelli lombardi che invece rendevano 161 lire e le spinte autonomistiche che prendevano sempre più il sopravvento.

La rivolta



 Migliaia di persone insorsero, anche armati, provenienti anche dai paesi vicini. Quasi 4.000 rivoltosi assalirono prefettura e questura, uccidendo l'ispettore generale del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. La città restò in mano agli insorti e la rivolta si estese nei giorni seguenti anche nei paesi limitrofi, come Monreale e Misilmeri: fu stimato che in totale gli insorti armati fossero circa 35.000 in provincia di Palermo. Negli scontri di quei giorni persero la vita ventuno carabinieri e dieci guardie di pubblica sicurezza. Palermo per sette giorni rimase così in mano ai rivoltosi. Il governo italiano decise di proclamare lo stato d'assedio e ad adottare contro il popolo palermitano una dura repressione, con rappresaglie, persecuzioni, torture e violenze. Ci furono duri scontri, i ribelli riuscirono a tener testa all’esercito regolare. Il 21, le truppe piemontesi cominciarono a riprendere il controllo delle situazione.

Reazione governativa

La rivoltà durò 7 giorni e mezzo; il 22 Settembre il generale Cadorna riusciva a penetrare in città. Fucilazioni sommarie avvennero dopo la repressione della sollevazione. Sicuramente dietro alla rivolta, un’abile mano dirigente manovrava il tutto (comitati borbonici e repubblicani azionisti) anche perché moti contemporanei a quello di Palermo scoppiarono a Monreale, Borgetto, Torretta, Misilmeri, Villabate, Mezzojiuso, Marineo, Corleone, Piane dei Greci, province di Trapani e Catania. Tuttavia, non bisogna sottovalutare il coinvolgimento spontaneo popolare, prova questa, di un diffuso malcontento all’interno della popolazione.

lunedì 9 settembre 2013

La Questine Meridionale

Con l'espressione “Questione Meridionale” si definisce il divario, nelle attività sociali ed economiche,tra le regioni settentrionali e quelle meridionali dell’Italia; tale divario ha dato luogo ad un ampio dibattito relativo alle cause del mancato sviluppo economico, sociale, culturale del Sud dopo l'Unità d'Italia.
Analizziamo di seguito, e più nel dettaglio, in cosa consiste il grande divario tra il Nord e il Sud dell'Italia e individuiamo le cause che lo hanno determinato, ricercando le "precise responsabilità" sullo stato di abbandono e di miseria del Sud e, in particolare, della Sicilia. Da decenni, in Sicilia, l’immobilismo sociale aveva sostenuto l’esistenza di una classe parassitaria, quella dei baroni, che affittavano le loro terre senza farvi alcun investimento. In più, i Borboni dopo le tendenze riformatrici dei primi anni, promosse da Ferdinando, avevano rinunciato a modernizzare il Paese.

Da decenni, in Sicilia, l’immobilismo sociale aveva sostenuto l’esistenza di una classe parassitaria, quella dei baroni, che affittavano le loro terre senza farvi alcun investimento. In più, i Borbone, dopo le tendenze riformatrici dei primi anni, promosse da Ferdinando, avevano rinunciato a modernizzare il Paese.A contribuire allo spirito unitario siciliano vi era non solo l’odio dei siciliani stessi verso i Borbone, i quali avevano reso il loro territorio una provincia di Napoli, ma anche l’anelito di poter riacquistare la propria autonomia. Quanto alla cultura politica siciliana, essa si era plasmata sui movimenti italiani più influenti, quello mazziniano e quello liberale. Fu in questo contesto storico che gli eventi siciliani, come, ad esempio, la Rivolta della Gancia guidata da Francesco Riso, si fusero ai tentativi di esponenti come Mazzini e Cavour di unificare tutti i territori abitati da italiani, costituendo, pertanto, gli episodi cardine del Risorgimento italiano.

Il 5 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi, con il supporto di Francesco Crispi, salpò da Quarto e sbarcò a Marsala l’11 maggio. Arrivato in Sicilia Garibaldi si dichiarò dittatore in nome di Vittorio Emanuele II di Savoia. Con l’aiuto dei patriotti siciliani, detti “picciotti”, Garibaldi riuscì a strappare all’esercito borbonico le città di Calatafimi, Alcamo ed infine Palermo. Dopo aver strappato l’ultima città siciliana, Messina, ai Borbone, Garibaldi risalì la penisola, attraversando quasi tutte le regioni meridionali e conquistandole. La sua azione si risolse con l’incontro di Teano del 26 ottobre 1860, durante il quale cedette le terre occupate a Vittorio Emanuele II e con il quale finisce simbolicamente la spedizione dei Mille. Con il plebiscito del 21 ottobre 1860, quasi il 75% dei siciliani votò per l’annessione al Piemonte, speranzoso che il nuovo governo avrebbe cambiato radicalmente le condizioni di vita. Ma come disse Massimo D’Azeglio all’indomani dell’Unità: "Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani". La nuova Italia, infatti, era costituita da popolazioni poco eterogenee sotto il profilo economico, sociale e culturale. I governi che si susseguirono scartarono l'ipotesi federalista o regionalista, optarono per un forte accentramento, con ripartizioni amministrative rette da un prefetto, in quella che venne definita “Piemontizzazione”. I prefetti che venivano assegnati ai diversi territori erano per lo più piemontesi e questo si risolveva in incomprensioni con la popolazione. Furono trascurate dallo stesso Cavour e dal governo centrale l’autonomia e le leggi speciali che la Sicilia possedeva sotto i Borbone e che ora aspirava a mantenere. Già con Garibaldi erano nati in Sicilia malcontenti diffusi circa la repressione di Bronte; ancora più accentuati divennero all’indomani dell’Unità, con l’affermazione del fenomeno del “Brigantaggio”. Tale forma di banditismo si esprime in azioni di rivolta da parte del proletariato rurale e di ex militari borbonici, spinti da diverse problematiche sociali ed economiche. Giustino Fortunato, personalità storica e politica rilevante e uno dei rappresentati più importanti del Meridionalismo sosteneva che il brigantaggio fosse espressione della miseria in cui versava il sud e che per eliminarlo era necessario evitare l’isolamento del meridione e attuare un’azione politica volta al suo sviluppo con la costruzione di una rete ferrovia, stradale e infrastrutturale, con la promozione dell’attività industriale. Con l’Unità, non furono posti sotto un unico Stato popoli eterogenei per tradizioni, cultura e mentalità, ma vennero “nazionalizzate” le diverse condizioni economiche dei singoli territori. Di fronte ad un Nord dal ceto borghese pieno di iniziative e volto agli investimenti capitalistici e ad un Sud in cui emergevano un sistema agricolo primitivo e semi-feudale, la politica fiscale adottata dal nuovo governo non fu omogenea, in quanto il primo venne avvantaggiato e il secondo ulteriormente impoverito. Essa “faceva sì che l’Italia settentrionale, la quale possedeva il 48% della ricchezza del paese, pagava meno del 40% del carico tributario, mentre l’Italia meridionale, con il 27% della ricchezza, pagava il 32%” Pertanto,pur considerando quei tentativi di superamento di tale situazione, riteniamo che poco e nulla è stato fatto: se, da un lato, l'avvenuto processo unitario non ha fatto altro che aggravare le condizioni preesistenti di regressione e arretramento socio-economici, dall'altro, bisogna anche riflettere sulla serie di scogli insuperabili ed endemici del Sud e, nel nostro caso, della Sicilia, come la presenza di una mentalità clientelare, legata agli interessi della borghesia terriera e alla classe baronale, l'omertà,in una spirale intrecciata di cause e conseguenze, confluenti le une nelle altre, in cui,risulta, a volte, poco o per niente possibile individuare il confine tra le prime e le seconde. Da quanto detto, abbiamo potuto evincere come l'analisi delle condizioni economiche del Sud non era soltanto indispensabile per comprendere le differenze rispetto al Nord e la politica inerte del nuovo regno, incapace di superare tale impasse, ma era soprattutto necessaria per far capire agli italiani, e alle personalità influenti, che la “Questione Meridionale” era innanzitutto una questione umanitaria e sociale. Questo lo hanno intuito intellettuali e uomini di cultura come, ad esempio, Luigi Pirandello e Giovanni Verga

sabato 31 agosto 2013

Morgana ed il conte Ruggero

Morgana
Dalla costa calabra che da sullo Stretto di Messina si assiste, molto raramente in verità, ad un fenomeno ottico-meteorologico per cui la costa siciliana appare non solo ravvicinata ma anche riflessa al centro dello stesso mare. Quando questo fenomeno si verifica oltre alla costa siciliana riflessa nelle acque si vedono anche le case, le persone e gli alberi. Il fenomeno è visibile solo dalla costa reggina, quella che fu definita da D'Annunzio "il più bel chilometro d'Italia": un luogo magico, in grado di regalare ai fortunati passanti un vero e proprio incantesimo opera di una fata. È detto infanti della "Fata Morgana" o "Fata delle Acque" e viene abbinato a Morgana fata di Scin, figura celtica, sorellastra e amante di Artù che possedeva il dono dei giochi d'aria e d'acqua.
Molte sono le leggende fiorite attorno a questo raro e fascinoso evento ma quella più conosciuta, si riferisce a Ruggero il Normanno. Ruggero, un giorno di settembre dell'anno 1060, passeggiando solitario su una spiaggia della Calabria e guardando la costa peloritana meditava sul modo migliore per poter conquistare la Sicilia, allora occupata dagli Arabi che ne avevano fatto una terra ricca e prosperosa e quindi appetibile. Qualche tempo prima, alcuni cavalieri messinesi erano riusciti a raggiungerlo a Mileto e gli avevano esposto il desiderio della gente siciliana di averlo come liberatore e signore.Ciò non tanto perché gli Arabi si comportassero da usurpatori o tiranni della povera gente, anzi molto avevano fatto per la Sicilia, per renderla prospera e indipendente, ma perché ultimamente i loro Kaid erano entrati in guerra tra di loro e ciò era causa di stragi, razzie e disordini e a farne le spese erano tutti i Siciliani, ricchi o poveri che fossero.
 L'impresa che Ruggero meditava si presentava difficile e rischiosa anche perché poteva contare solo su uno sparuto gruppo di cavalieri e fanti. Narra la leggenda che mentre era intento a meditare su queste cose e a respirare l'intenso odore di zagara che proveniva dagli aranceti in fiore, gli parve udire una musica di guerra, intramezzata da lamenti e sospiri di schiavi, e musica felice. Ruggero si fermò incuriosito e poiché abitava lì nei pressi un vecchio e saggio eremita, Ruggero vi si diresse e, dopo averlo cortesemente salutato, gli domandò notizie su quel fatto così misterioso ed insolito. L'eremita allungò il braccio e con un dito gli indicò la costa siciliana. - Lì gli aranci sono in fiore... - gli disse - Lì c'è musica ma anche pianti... Lì ballano i saraceni e piangono i cristiani! Dicono che sei potente e cristiano... Perché non combatti e muori per la tua fede? Ruggero non seppe che rispondere, continuò a passeggiare pensieroso. D'un tratto, davanti a lui, il mare prese a ribollire e dalla spuma apparve la testa di una bellissima donna, era Morgana, la fata, sorella carnale di re Artù. Essa ha nel mondo varie regge ma qui, proprio in mezzo allo Stretto, ha il suo più bello e antico palazzo, meta di tutte le fate e maghe del Mediterraneo. Essa, a poco a poco, emerse e Ruggero la vide salire su un cocchio bianco-azzurro tirato da sette cavalli bianchi con la criniera azzurra. Morgana stava per muoversi verso sud, quando vide Ruggero passeggiare sulla spiaggia a passi lenti. - Che pensi, o Ruggero? - gli gridò Morgana dirigendosi verso di lui - Se è come immagino, salta sul mio cocchio e subito ti porterò in Sicilia, assieme ad un possente esercito... Ruggero sorrise e salutò Morgana poi, gentilmente ma con fermezza rispose: - Io ti ringrazio, o Morgana, ma non posso accettare il tuo aiuto. Ma se la Madonna che amo e i santi che mi proteggono mi daranno la loro benedizione, io andrò alla guerra sul mio cavallo e trasporterò l'esercito con le mie navi e vincerò per valore e non per gli incantesimi di una fata.Allora  Morgana agitò tre volte in aria la sua bacchetta magica e lanciò in acqua tre sassi bianchi. - Guarda, o Ruggero, la mia potenza!... E in quel punto apparvero sull'acqua case e palazzi, strade e ville, e tutta la costa siciliana apparve così vicina da poter essere raggiunta solo con un solo salto. - Eccoti la Sicilia! Salta su di essa, raggiungi Messina ed io farò in modo che in essa troverai il più forte e il più numeroso esercito che tu abbia mai avuto in battaglia. Ruggero anche se meravigliato da tanto incantesimo rifiutò ancora l'offerta. - O Morgana! Tu sei una grande fata, degna della stirpe da cui discendi. Ma non sarà con l'incantesimo che io libererò la Sicilia dal paganesimo. Essa mi sarà data da Cristo nostro signore e da sua madre, la Vergine Maria che io ho già scelto e adottato come madre mia divina. Ma grazie, per il pensiero... Morgana non attese di più , agitò nuovamente la sua bacchetta magica e i castelli, le strade e le ville sparirono di colpo, il suo cocchio si mosse veloce trainato dai sette cavalli verso le spiagge dell'Etna. Ruggero, come sappiamo, sbarcò poi in Messina nella primavera del 1061 e in circa 30 anni di guerra, spesso condotta con accanimento e ferocia, senza esclusioni di colpi, riuscì a strappare la Sicilia, una delle terre più ricche e più progredite di quel tempo, ai musulmani. 

lunedì 26 agosto 2013

I FLORIO

Cap.V Le prime difficoltà

Padiglione Florio Esposizione Internazionale di Milano 1906 Arch. E. Basile
 Nel 1896, con le dimissioni di Crispi, il commissariamento della Sicilia e il successivo avvento di Giolitti cominciarono anche i guai per i Florio.Nella città di Palermo che si impoveriva sempre più, si aggiunse il problema della disoccupazione. Da questa necessità nacque il progetto, caldeggiato da Ignazio Florio, di costruire un cantiere navale. Ma, come vedremo, questo grande progetto non riuscirà a risollevare le sorti della Sicilia, come se l’isola soffrisse di un deficit politico e morale. Nel 1899 i Florio furono costretti a sottoscrivere un’ipoteca sulle isole Egadi, cominciando a subire i colpi della crisi di tutto il sistema industriale. Anche se l’azienda restava sana, anche se le Tonnare erano due gioielli, l’indebitamento progressivo nei confronti delle banche impose la dismissione di alcune aziende. Ormai la situazione finanziaria dei Florio precipitava di giorno 
giorno, sino a convincere a fine 1908 la banca milanese, del cui CdA peraltro il commendatore Ignazio faceva parte e continuerà ancora a far parte almeno sino al 1925, dell’opportunità di intervenire, per evitare il rischio che le loro azioni finissero ad acquirenti di scarsa potenzialità finanziaria ed estranei al gruppo ed agli interessi che fanno capo alla Navigazione Generale Italiana», con grave turbamento del mercato e della vita stessa della Ngi, che era tra i suoi principali clienti. Impose perciò a Casa Florio di cedere «alle Società di navigazione “La Veloce” e “Italia”, affiliate alla Navigazione Generale Italiana, l’intero lotto di queste azioni, pari a un valore di circa 12.800.000 lire. Ignazio Florio non poté rifiutarsi di accettare, conservando il diritto di riscatto da esercitare entro il 10 maggio 1909 a un prezzo di lire 425 cadauna (lire 13.260.000) oppure entro il 10 novembre successivo a lire 440 cadauna (lire 13.728.000), ma il suo entourage considerò l’operazione un vero e proprio colpo di mano e il suo legale, l’avvocato Giuseppe Marchesano, giudicò “usuratiche” le condizioni, “ledenti gli interessi morali e materiali dei Florio”, i quali indebitati com’erano mai avrebbero avuto la possibilità di riscattarle. Per Webster il comportamento della Banca Commerciale verso Casa Florio (larghe aperture di credito e successiva acquisizione delle azioni Ngi di proprietà Florio) era motivato dalla volontà di «unificare tutte le compagnie marittime addette al servizio postale sovvenzionate dallo Stato e controllate dalla Navigazione Generale, onde negoziare nuovi sussidi con il governo da una posizione di forza corrispondente in pratica ad una sorta di monopolio
 La cruda verità è che i Florio non riuscirono veramente trasformare l’economia della Sicilia e a permetterle un decollo competitivo con il Nord. La Sicilia in linea di massima rimaneva sottosviluppata e priva di infrastrutture essenziali. Prime tra tutte le ferrovie. La Fonderia Oretea era certamente l’officina più attrezzata e moderna dell’isola, ma dopo l'unificazione d'italia non resse il confronto con quelle italiane. Il suo decollo avvenne non perché trainata dalle richieste del mercato interno ma perché essa operava come officina delle navi dei Florio. In Sicilia mancava il mercato e non potevano essere i Florio a crearlo da soli.

Il declino

 Il ricordo dell'epopea dei Florio continua ad esercitare un fascino irresistibile in Sicilia. Per l’immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere, i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito. Rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali del sud, quel tempo, sempre nostalgicamente rievocato, in cui anche al sud fiorivano iniziative industriali vincenti. E come scrive Maurice Aymard, la vicenda dei Florio è stata identificata “con quella della Sicilia pre e post-unitaria, cioè la Sicilia delle grandi speranze, delle attese frustate e delle illusioni perdute… Questo incontro fra un destino familiare e quello dell’isola dà forza e durata al mito che essi incarnano o che sono incaricati di incarnare”.

domenica 25 agosto 2013

I FLORIO

Donna Franca Florio 1903
Cap.IV  L'interesse per l'arte e la cultura

La famiglia Florio lasciò una impronta di sé anche nel mondo dell’arte. Essi avevano capito che la Sicilia possedeva da secoli una grande capacità artigianale e manuale e pensarono di farla rivivere. Naturalmente hanno avuto la fortuna di incontrare architetti come Damiani Almeyda e Ernesto Basile ed è con questo architetto che il legame si concretizza con realizzazioni architettoniche all’unisono con l’art nouveau europea (le più importanti sono il villino Basile, committenza di Vincenzo Florio, e Villa Igea). E' proprio nella villa Igea e nel villino Florio, che si realizza una formidabile convergenza fra architetti, maestranze, decoratori, pittori, scultori, che parla il linguaggio internazionale del modernismo. E poiché in quel periodo Palermo era ancora una città in cui ci si curava per il clima loro ospitarono la crema della buona società europea e anche famiglie regnanti come i reali d’Austria e di Russia e, naturalmente quelli d’Italia. Ignazio junior e la sua bellissima consorte Franca, figlia del barone di San Giuliano Pietro Jacona e di Costanza Notarbartolo vivono infatti da protagonisti il periodo della Bella Epoque.

 Donna Franca è il prototipo di donna che coniuga l’ideale estetico di eleganza con il gusto della famiglia. E’ un punto di riferimento nei salotti della mondanità mittleuropea. Si divide tra i salotti delle palazzine del periodo liberty palermitano, attirando su di sé, per il suo fascino e bellezza, gli apprezzamenti del Kaiser Gugliemo II, spesso ospite alla loro villa dell’Olivuzza, e di Vittorio Emanuele III.

 I Florio fondarono alcuni dei più importanti teatri lirici del mondo come il teatro Massimo e il teatro Politeama. Questi teatri ebbero il merito di convogliare nella città turisti colti che andavano alla ricerca delle novità liriche che a quei tempi, grazie ai Florio, si facevano a Palermo. La cosa interessante per Palermo in quegli anni è che si sviluppò un sistema dell’arte. I Florio contribuirono in maniera significativa a innestare e coadiuvare questo sistema. In città si svilupparono dei circoli di conversazione in cui l’intellighenzia, gli imprenditori, i borghesi e anche gli uomini dell’amministrazione che ne facevano parte cercavano di promuovere il dialogo fra arte e industria e arte e istituzioni pubbliche.
Manifesto dell'esposizione del 1908
L’Esposizione Nazionale del 1891 fu uno dei grandi motori dello sviluppo urbanistico della Palermo borghese, moderna. L’Esposizione ebbe altresì l’ambizione di qualificare definitivamente l’immagine imprenditoriale e moderna della Sicilia. I Florio erano molto attivi nella promozione, nella discussione, ma anche nel far circolare queste idee e nel farle entrare in maniera produttiva nel loro sistema. Florio nella Palermo di fine Ottocento, inizio Novecento erano di gran lunga il potentato economico più importante, erano un po’ i padroni della città perché erano i più ricchi, i più potenti per relazioni politiche e anche i più moderni”. Ignazio già negli anni Ottanta aveva già puntato molto su una banca e su un uomo politico. La banca era il Credito mobiliare italiano e il Banco Florio diventò la Filiale del Credito Mobiliare. L’uomo politico era Francesco Crispi che sicuramente si legò alla fortuna dei Florio negli anni Ottanta quando la Navigazione Generale poté utilizzare le convenzioni marittime e dunque le laute sovvenzioni dello Stato per espandere le linee di navigazione. I Florio avevano la grande capacità di rappresentare i loro interessi e li rappresentavano come gli interessi della Sicilia e con questo godevano anche di grande prestigio perché sostenevano che se loro andavano bene andava bene la Sicilia.

sabato 24 agosto 2013

I FLORIO


Cap.(lll)  I Florio ed i trasporti marittimi

Villa Florio, Viale Regina Margherita alla Ziza Palermo (Arch. E. Basile


 La svolta vincente per i Florio, come abbiamo già detto, è legata allo sviluppo della navigazione a vapore: Vincenzo e il figlio Ignazio colgono l'onda della modernizzazione e creano una flotta, che consente a Ignazio di collocarsi ai vertici dell'high-society internazionale. Importante fu l’incontro fra Benjamin Ingham ed il giovane Vincenzo Florio, che favorì la realizzazione di alcune iniziative sul piano commerciale ma anche su quello industriale, tra le quali ricordiamo la già citata costituzione della Società dei Battelli a Vapore siciliani. La società assicurava il collegamento tra Napoli, Palermo e Marsiglia e tra i diversi porti della Sicilia. L’incontro con Ingham ebbe notevole importanza anche per l’economia siciliana in generale. Con l'Italia unitaria nasceva anche l'esigenza di una rete di collegamenti adeguati alla nuova realtà.  Ciò spinse Vincenzo Florio a costituire la "Società in Accomandita Piroscafi Postali", che godeva di una convenzione in denaro con il governo nazionale, che gli affidò i servizi attorno alla Sicilia, verso Genova, verso Napoli e verso Malta.
Le navi, inizialmente 6, già nel 1877 erano diventate diventate 41. Attorno al 1880 i Florio iniziarono il servizio verso il Nord America e iniziò anche il trasporto degli emigranti; questo servizio fu visto molto bene dalle autorità americane e il prestigio internazionale dei Florio aumentò sempre più. Il problema dei trasporti marittimi era cruciale all'epoca ed il potere politico favorirà nel 1877 l'acquisizione da parte della "Società Piroscafi Postali", a prezzi di bancarotta, tutto il materiale della "Trinacria", altra grande compagnia di navigazione. A concorrere con la compagnia dei Florio rimaneva dunque solo la "Rubattino" di Genova; ma nel 1881 queste due società, si fonderanno dando vita alla compagnia della "Navigazione Generale Italiana" (Ngi) che ebbe il monopolio dei collegamenti marittimi. Dalla fusione di questa società con la Citra nascerà ai primi del '900 la compagnia Tirrenia.


La nascita della Navigazione Generale rispondeva ad un'esigenza avvertita in tutti gli ambienti, dal nord al sud della Penisola: creare una sorta di monopolio che potesse competere con le grandi compagnie straniere di navigazione già presenti nel Mediterraneo. In verità, all’appuntamento dell’81 Florio è molto più pronto e potente di Rubattino, ed attorno alla Navigazione Generale Italiana Ignazio Florio riesce a costruire un sistema imprenditoriale diffuso che fa capo soprattutto alla grande produzione enologica, ai vini e alla realizzazione delle tonnare delle Egadi. Questa sarà l’azienda che fino alla fine costituirà un cespite attivo. Sempre sotto il patrocinio di Vincenzo Florio sorse a Palermo la "Fonderia Oretea", moderna industria metallurgica che doveva essere complementare alle esigenze della sua flotta. A coronamento delle imprese produttive non gli mancarono conferimenti di cariche istituzionali sia nel Regno delle Due Sicilie che, successivamente, nel Regno d'Italia. Riuscì inoltre a far parte del Consiglio Superiore della Banca Nazionale del Regno, la più importante autorità economica del tempo. La fortuna che alla sua morte, avvenuta nel 1868, lasciò a suo figlio Ignazio (senior) fu valutata nell'astronomica cifra di L. 300.000.000.


Ignazio Florio junior

Ignazio senior sposò la baronessa Giovanna D'Ondes, da cui ebbe 4 figli: Vincenzo (morto a meno di un anno dalla nascita), Ignazio junior, Giulia e Vincenzo destinato ad essere l'ultimo esponente dei Florio. Il raggio d'azione e il volume di affari della famiglia Florio era destinato ad allargarsi così come divenne sempre più profonda la loro impronta sul costume, sulla cultura e l'economia del tempo. Ignazio (senior) creava industrie dotate di moderni servizi per gli operai, costituiva un assistenziale Istituto per ciechi, iniziava la costruzione del futuro teatro Massimo.

venerdì 23 agosto 2013

I FLORIO

(Cap.ll)  L'ascesa

Fra le iniziative destinate ad aver maggior fortuna vi sarà la costruzione di uno stabilimento per la produzione di vino "Marsala", in concorrenza con le famiglie inglesi che già operavano nel settore, come i Woodhouse e gli Ingham. L’inserimento di Vincenzo Florio nel mercato del vino, nel 1834, è un momento importante sia per la storia della famiglia sia per la storia del vino Marsala; intanto rispetto agli altri mercanti inglesi, la scelta di Vincenzo Florio è di rivolgersi soprattutto al mercato nazionale più che fare la concorrenza, che sarebbe stata persa già dal nascere, a Ingham che aveva il predominio del mercato americano o ai Woodhouse che avevano il predominio del mercato del Nord Europa. Le cose cominciano a cambiare sensibilmente nella seconda metà dell’Ottocento quando Vincenzo Florio e il figlio Ignazio investono sempre di più nell’azienda per modernizzarla. Nelle loro cantine si realizzerà il primo impianto di imbottigliamento meccanico ben prima che non alla Ingham o alla Woodehouse. L'attività intrapresa si rivelò un ottimo affare ed il prodotto si assicurò un vasto mercato. Altra iniziativa proficua si rivelò l’affare delle tonnare. Nell’ottobre del 1841 i Florio legano il loro nome alle isole Egadi, prendendo in gabella dai Pallavicino e Rusconi le antiche tonnare di Favignana e Formica per un periodo di diciannove anni.

 I Florio, come molti altri imprenditori, meridionali e settentrionali, ebbero una forte spinta dopo il
Locandina Targa
Florio
1860, non a caso la borghesia e l’imprenditoria dettero una mano, non solo metaforica, all’impresa garibaldina, confidando nella nascita e nello sviluppo di una moderna industria. Nel 1874 il figlio Ignazio senior acquisterà interamente le isole Egadi pagando la cifra di 2 milioni 750.000 lire alla famiglia Pallavicino. I Florio trasformarono l’industria conserviera del pesce in un’impresa mondiale. Con la costruzione dello stabilimento Florio a Favignana realizzarono il più moderno e importante complesso industriale di lavorazione e conservazione del tonno esistente nel Mediterraneo.
 Ignazio interviene inoltre, a partire dagli anni Settanta, in provincia di Caltanissetta con alcune attività di lavorazione dello zolfo e dà l’avvio a tante altre attività nel campo dell’industria chimica, della produzione di porcellane e ad un corollario di attività minori correlate. Ma l’attività dei Florio non si ferma qui. Banche, alberghi, editoria, una gara automobilistica: la Targa Florio che fa conoscere all’Europa intera i paesaggi selvaggi e dolci delle Madonie.

giovedì 22 agosto 2013

I FLORIO

Vincenzo Florio

(Cap.I)  L'ascesa   


Quando si parla dei Florio il pensiero corre subito alle feste, ai ricevimenti, al lusso, alle corse automobilistiche e soprattutto alla decadenza di questa Famiglia, ma l’epopea dei Florio non è solo la cronaca degli ultimi ruggenti ma disastrosi anni ma è soprattutto la storia della crescita costante delle fortune di una famiglia di imprenditori che ha inizio a fine settecento e che copre più di un secolo di successi prima di conoscere il tracollo finanziario e la fine della dinastia. Ma a noi meridionali piace ricordare soprattutto le sconfitte, amiamo molto il rimpianto e tendiamo a dimenticare le storie belle e costruttive che per quasi un secolo e mezzo hanno segnato il successo di una famiglia che ha dato lavoro e benessere a tante altre famiglie. Tutto ha inizio con Tommaso Florio a metà Seicento in Calabria, a Melicuccà, e poi a Bagnara, dove il figlio Domenico e il nipote Vincenzo, qui trasferitisi, esercitano il mestiere di fabbro. L'ascesa comincia con Paolo e Ignazio, figli di Vincenzo. A spingere i Florio sul mare fu probabilmente Paolo Barbaro, genero di Vincenzo Florio, che strappò Paolo al destino di “scalco” accogliendolo come socio nella sua attività di “ambulante” del mare che girava per i porti del Tirreno commerciando. Tra il 1800 e 1801 Paolo però, chiamato a sé il fratello Ignazio, si stabilisce definitivamente a Palermo: i due aprono un piccolo negozio in via dei Materazzai e si dedicano per alcuni decenni al redditizio commercio delle spezie e merci rare, all’affitto e successivo acquisto di qualche tonnara sul litorale palermitano ed al prestito al “cambio marittimo”.“cambio marittimo”.
Ignazio Florio senior

 Il salto di qualità avvenne con Vincenzo, figlio di Paolo. Ormai la famiglia si era notevolmente arricchita e Vincenzo ebbe la possibilità di acquistare alcune quote dello “Brick-Schooner” Santa Rosalia e, approfittando dei trattati di pace e di commercio tra il governo borbonico ed i governi algerini, tunisini e di Tripoli, estremamente vantaggiosi dal punto di vista doganale, cominciarono ad incrementare gli introiti e ad acquistare altre imbarcazioni, che già negli anni trenta dell’Ottocento formavano una discreta flotta che toccava i porti di New York, Boston, Londra, Liverpool, Marsiglia e Genova da dove per conto della Casa Florio importavano a Palermo manifatture, zucchero, cera, pellame, droghe, rum, catrame, ecc. ecc. Tutto ciò, insomma, che poteva trovare un mercato in Sicilia. La destinazione finale erano tuttavia i mercati orientali da cui importavano le "droghe", cioè le spezie, da ridistribuire nel mercato italiano. In pochi anni la ditta si trasforma in una holding: dal commercio all'attività finanziaria, dalla pesca del tonno alla produzione vinicola e zolfifera. Il talento economico di Vincenzo è notevole e numerosissime sono le attività di cui è promotore o compartecipe. E’ un tycoon e si caratterizza per avere, oltre che un’innata indole imprenditoriale, i connotati dell’uomo sensibile alla cultura, all’estetica e una condotta imprenditoriale che, assieme al ritorno economico, giovi ad un miglioramento della comunità. Moderno ed al passo con i tempi, intravede grandi potenzialità nel settore tessile investendo in cotonifici. Ed ancora, investe ed ottiene successo co-fondando la compagnia di navigazione "Società dei battelli a vapore siciliani", insieme a numerosi altri esponenti dell'aristocrazia siciliana.


lunedì 3 giugno 2013

Giuseppe D’Alesi, un eroe sconosciuto

Tanto spazio viene dato alle lotte sanguinose tra i piccoli comuni, alle lotte tra le repubbliche marinare, alle carneficine tra guelfi e ghibellini e poi si parla di sfuggita di quella che potremmo chiamare la madre delle rivoluzioni: la guerra del Vespro del 1282. Mai nessuno parla delle battaglie navali combattute e vinte alle isole Eolie, a Capo d'Orlando, nel golfo Napoli e nelle acque di Malta, dai siciliani contro i francesi, mentre la battaglia della Meloria tra Genova e Pisa è da tutti ricordata. Perché solo la battaglia di Campaldino tra guelfi e ghibellini si ricorda e non la battaglia di Messina contro l'Angiò, battaglia combattuta anche dalle donne, in prima linea sulle mura accanto ai guerrieri? La nostra storia, la storia del regno di Sicilia, come si può notare riempie gran parte del medioevo ed evidenzia, come in Sicilia sia sempre stato forte il sentimento dell'indipendenza, s una vera e propria guerra d’indipendenza dallo straniero.entimento che fa della Sicilia il primo vivaio della nazionalità e dell' “italianità” anche per la nascita della letteratura in volgare. Tutti conoscono Pier Capponi ma chi conosce Gian Luca Squarcialupo che comandò un’insurrezione contro le fazioni feudali che combattendosi tra loro facevano il gioco delle potenze straniere che soggiogavano l’isola? Giuseppe D’Alesi La nostra storia, la storia del regno di Sicilia, come si può notare riempie gran parte del medioevo ed evidenzia, come in Sicilia sia sempre stato forte il sentimento dell'indipendenza, sentimento che fa della Sicilia il primo vivaio della nazionalità e dell' “italianità” anche per la nascita della letteratura in volgare. Gli avvenimenti e le opere che hanno avuto per teatro la nostra terra sono soltanto in piccola parte da noi siciliani valorizzati; è come se noi non volessimo ricordare. Milano, Firenze, Genova, Venezia, Roma, Napoli ricordano la loro storia di comune, di stato, con opere, con memorie, con monumenti. Noi no … a noi piace dimenticare. Ad esempio un episodio importantissimo della storia nostra, è quasi completamente dimenticato. Tutti ricordano e celebrano la congiura di Bedmar a Venezia o la rivolta capitanata da Masaniello a Napoli ma Giuseppe D’Alesi, loro coevo chi lo conosce?

Nativo di Polizzi Generosa (di nome e di fatto) antica città madonita. D’Alesi si era trasferito a Palermo da ragazzo per apprendervi il mestiere di battiloro e si era presto distinto nell'artigianato come nel maneggio delle armi. Era ritenuto una vera autorità fra i popolani, che l'ammiravano per la sua prestanza fisica, per il suo carattere risoluto e leale, per la sua facilità di eloquio e per la sua intelligenza. Fuggito da Palermo nel maggio 1647 dopo i disordini provocati dai caprai di Nino La Pelosa (altro dimenticato!) riparò a Napoli ove conobbe Salvator Rosa e Masaniello. Tornato a Palermo, comunicò agli amici la sua intenzione di organizzare un’insurrezione contro il malgoverno spagnolo. La sera del 12 agosto 1647, si narra che in una stanza appartata di una bettola di via Sant'Antonio, si riunirono i capi della plebe e degli artigiani di Palermo. Erano: D'Alesi, Giacomo Conti, suo compare, Antonino Perello e Matteo Di Liberto, pescatori, Pietro Pertuso lettighiere, Giuseppe Errante, Francesco Daniele e Gian Battista dell'Aquila, conciatori. Si decise d'insorgere per la mattina del 15 La sera del 12 agosto 1647, si narra che in una stanza appartata di una bettola di via Sant'Antonio, si riunirono i capi della plebe e degli artigiani di Palermo. Erano: D'Alesi, Giacomo Conti, suo compare, Antonino Perello e Matteo Di Liberto, pescatori, Pietro Pertuso lettighiere, Giuseppe Errante, Francesco Daniele e Gian Battista dell'Aquila, conciatori.Ma la congiura fu sventata.Giuseppe D’Alesi, avvertito, a sua volta, dei primi arresti, non si perde d’animo, si arma e a capo di un gruppo di fedelissimi si avvia a Palazzo Reale reclamando l’immediato rilascio dei suoi amici già destinati all’impiccagione. Il viceré‚ li fa rimettere in libertà sperando di placare i rivoltosi, ma D'Alesi, nominato dal popolo Capitano Generale, assale le armerie governative e il palazzo Pretorio, arma i suoi uomini, si impadronisce di due cannoni dal baluardo del Tuono, e marcia all'assalto del Palazzo Reale. I soldati spagnoli si difesero coraggiosamente contro la "turba scellerata" come venne definita dai cronisti dell’epoca, evidentemente di parte spagnola. Tra le vittime di questo primo assalto c’è anche il pittore Pietro Novelli, monrealese, amico del D'Alesi, del quale, per fortuna, tante opere ancora rimangono nelle nostre chiese. Il primo scontro finisce con la vittoria dei palermitani. Il vicerè, con la famiglia e il seguito, fugge imbarcandosi su una galera. Al grido di “fuori lo spagnolo!” il Palazzo Reale viene conquistato e i soldati fatti prigionieri. D'Alesi a questo punto (e qui si vede la grande intelligenza del nostro) dava ordine di non distruggere nulla e confermò l'ordine anche per palazzi dei nobili siciliani alleati al viceré‚ e odiati dal popolo. Risparmiò anche la ricca dimora d'un suo personale nemico. I primi atti di D’Alesi, dopo la vittoria, furono rivolti ad assicurare l'ordine e la disciplina in tutta l’sola rimasta senza governo. Furono vietate, pena la galera o la vita, le ruberie, i saccheggi, le uccisioni. La Tavola o Banco Pubblico ( una delle prime banche della penisola) benché rimasta in balia dei rivoltosi, non fu toccata e fu riaperta al pubblico all’indomani della rivolta, il 16 agosto. I nobili e i ricchi borghesi che erano “coraggiosamente” scappati, vista la “civiltà” (da non confondere con quella degli idromassaggi e delle lavastoviglie) di D’Alesi, tornarono ben presto e don Diego Trasmigra, l’inquisitore, decise di affrontare subito la questione recandosi, di persona, a trovarlo. Gli fece molte e interessanti offerte. Ma D’Alesi non abboccò, rifiutò di lasciar tornare il Viceré per trattare, come il Trasmiga assicurava da pari a pari, e invece chiamò in aiuto quali consiglieri i più famosi giuristi di Palermo (Lo Giudice e i Miroldo) e nominò suoi segretari gli avvocati Giuseppe La Montagna e Pietro Milano. Al grande Inquisitore chiese, invece, la scarcerazione di don Francesco Baronio, storico e letterato, detenuto nelle carceri del Sant'Uffizio sotto l'accusa di eresia e di lesa maestà, per avere osato semplicemente rivendicare, a parole, il diritto della Sicilia all'indipendenza dagli spagnoli. Il 18 agosto 1647 nella basilica di San Giuseppe, sotto la presidenza di D’Alesi, si radunarono gl' Inquisitori, i nobili, i rappresentanti della borghesia e i consoli delle corporazioni artigiane, per discutere e approvare il nuovo statuto del regno di Sicilia, promulgato da Giuseppe D'Alesi. Questo statuto, composto da 49 capitoli era veramente rivoluzionario per l’epoca: venivano, si, rispettati i beni dei patrizi, che all’inizio, in verità, si volevano devolvere alla comunità ed alcuni privilegi di carattere morale ma il governo dell'isola, pur mantenendosi come avallante il vicerè spagnolo, passava in mano completamente ai siciliani, ai "nativi del regno". L’esercito, per un terzo spagnolo e per due terzi siciliano sia di mare che di terra, doveva avere ufficiali "regnicoli" e con preferenza palermitani. Gli artigiani avevano diritto ad una loro guardia armata, alla quale era affidata la sorveglianza perpetua e la guardia delle porte della città di Palermo (cosa hanno inventato i leghisti?) . Le corporazioni, inoltre, avevano la possibilità di intervenire nel governo della cosa pubblica tramite una giunta, di sei membri, metà dei quali artigiani e metà patrizi, rappresentanti la proprietà e l'industria terriera. Le corporazioni mantenevano amministrazioni e leggi proprie,che regolavano la produzione e i prezzi e mandavano inoltre propri delegati ai comuni e al fisco con diritto d'intervento in ogni pubblica questione coi loro Capitani e Consoli, insieme con quelli della borghesia professionale, coi "Dottori, Procuratori, Notai, Gentiluomini, Commissari e tutte le altre persone dei quartieri". Era un vero e proprio stato corporativo che distribuiva diritti e responsabilità a tutti cittadini, con un parlamento popolare che doveva governare in accordo col Senato già esistente. I nobili sottoscrissero, anche se non volentieri, presumo. Il clero si congratulò per la saggezza del vincitore, ipocritamente presumo. Trasmiera, l’inquisitore, che doveva firmare per il Viceré de Los Velez, sempre latitante, tergiversava, ma alla fine cedette. Ma Palermo non ha premiato questo suo figlio. La nostra bella città infatti ha come simbolo un “genio” un uomo coronato cui una serpe succhia latte o sangue dal seno, e reca la scritta "Alienos nutrit, suos devorat". (Nutre gli stranieri, mangia i suoi figli) E Palermo divorò questo suo figlio, così come Napoli aveva divorato Masaniello e Roma, Cola di Rienzo. I nobili, infatti, specie dopo aver saputo dell'intenzione di Giuseppe D' Alesi di nominare vicario il marchese di Geraci o il duca di Montalto con l'aiuto (dicono, ma non ho riscontri personali) del cardinale Mazzarino, organizzarono una controrivolta. Grazie a tanto denaro che passò da una tasca all’altra si allearono con il Trasmiera. Furono armati famigli e villani chiamati dai feudi e soprattutto furono sparsi i germi di velenose invidie e calunnie. Qualcuno avvertì D'Alesi. Ma la ormai il veleno della controrivolta era stato assorbito. Giuseppe si guardò attorno ma non vide che adulatori: i nobili lo trattavano come uno dei loro, i popolani gli baciavano le ginocchia. E lui si illuse! All’alba del 22 agosto, Cicco Panza, fedelissimo del D’Alesi, fu ucciso per strada con un colpo d’archibugio. Il fratello del D'Alesi, Francesco, fu inseguito e raggiunto dai soldati di Trasmiera: fu sgozzato e decapitato. A Gian Battista dell'Aquila mentre correva a cavallo, giù per una scalinata, gli uccisero il cavallo, nonostante questo riuscì a raggiungere i vicoli della Conceria e a raggiunger il suo Capitano. Il quartiere si difese disperatamente ma l’inquisitore Trasmiera ed i principi di Trabia, Scordia e Butera col Riggio e col Branciforti (che disponevano di oltre 6000 uomini) circondarono la Conceria, dove sono solo in ottocento resistevano. Giuseppe D’Alesi fugge per un passaggio segreto, che immette nelle fogne, dalle quali si sbocca fuori le mura. Ma uno di quei passaggi è troppo angusto e D’Alesi, di grossa stazza non riesce a passare, ritorna indietro e sbuca presso la scalinata di Santa Maria della Volta, in mezzo ai suoi nemici: fu ucciso. Sgozzato. Decapitato. Ferocemente. Anche Giuseppe Errante a Francesco Daniele furono scovati dai nascondigli e trucidati. Nessuno se lo ricorda D’Alesi … eppure fu più consapevole di Masaniello e di Cola di Rienzo o del successivo Pietro Micca, eroe risorgimentale ed antesig
nano degli odierni kamikaze che di niente arricchiscono le loro lotte se non di morte.

Il primo nucleo statale, la prima potenza civile italica fu in Sicilia, con capitale Siracusa.

La storia d'Italia è la storia di alcune città e regioni italiane ricalcata dalle cronache del Villani, del Compagni, del Malespini, del Guicciardini e via via fino al Muratore,al Sismondi e ai cronisti del Risorgimento. Da Napoli in su! Nessuno pare abbia mai consultato il Fazello, l'Auria, il Serio, il Baronio, il Pirri, il Mongitore, il Di Blasi, l'Amari e il La Lumia. libri, soprattutto quelli scolastici, della Storia d'Italia, sono stati da sempre una raccolta mal coordinata delle cronache di alcune regioni, o peggio, di alcune città o famiglie che avevano avuto parte preponderante in certi episodi, al seguito di un papa o di un sovrano straniero. Manca quasi sempre la storia del popolo. E poiché la coordinazione di queste cronache e la loro riduzione in trattati di storia è stata fatta sempre da scrittori del nord o del centro Italia che conoscevano meglio gli avvenimenti che riguardavano le loro contrade, ne è venuta fuori una storia d’Italia nella quale il mezzogiorno d'Italia e la Sicilia specialmente figurano come teatro di episodi secondari; fanno quasi da contorno alla storia del papato, a quella di Milano, di Venezia, di Genova, di Firenze e di Pisa. In questa storia di regioni e di città che comincia, nelle scuole, con la storia orientale e greca, troviamo Ninive, Babilonia e Cartagine; ma si accenna di sfuggita a Siracusa, Agrigento, Gela, Erice, Lentini, Catana, Zancle, e solo perché alcune di queste città entrarono in guerra con Atene, coi fenici o con i romani. La storia d'Italia piuttosto che dagli etruschi di cui si sa poco o nulla, dovrebbe cominciare dalla Sicilia che, come valore politico nel mondo antico e fino alle guerre puniche contò più di Roma. Il primo nucleo statale, la prima potenza civile italica fu in Sicilia, con capitale Siracusa. Mai si scrive che in quello stesso periodo, c'era in Italia, uno stato siciliano. Si parla appena della conquista della Sicilia da parte degli avventurieri normanni. Che questi erano guerrieri mercenari, valorosi ma incolti e barbari appena latinizzati, che trovarono presso il popolo siciliano una maggiore civiltà, dalla quale rimasero allettati e, a loro volta, conquistati. Nessuno spiega che allora si formò in Sicilia il primo regno italiano, il più importante stato italiano autonomo ben più importante di qualsiasi altro staterello della penisola. Nessuno spiega che attorno alla corte di Palermo gravitò, dal 1130 circa al 1250 la cultura italiana e la politica italiana di cui fu autorevole portavoce Federico II, personaggio, nel bene e nel male, certamente di maggior spessore di Carlomagno. Tutti i libri di testo ad esempio parlano del 1848 come dell'anno delle rivoluzioni, citando i moti di Francia e d'Ungheria, esaltando le 5 giornate di Milano, i moti di Venezia, di Roma, e dei piemontesi e dei toscani. Ma perché nessuno ricorda i siciliani? Perché non si dice che fu Palermo a dare il primo segnale in Europa ? Il dodici gennaio palermitano, esempio unico nella storia, in cui un popolo affigge alle cantonate un proclama di sfida al governo e lo avverte del giorno e del modo in cui la rivoluzione scoppierà e si compirà ? Un corretto manuale di storia dovrebbe invece evidenziare 1'influenza che, specialmente in taluni periodi, esercitò la Sicilia rispetto ad altre regioni. Basta solo pensare che nel decimo secolo dopo Cristo, quando l’Europa era devastata dalle orde barbariche e Bisanzio era ormai una civiltà in dissoluzione, Berlino era solo un borgo selvaggio della marca di Brandenburgo, Vienna la piccola capitale di un ducato, Londra e Parigi città di poco superiori ai centomila abitanti. In Italia soltanto Milano, Pisa e Venezia si salvavano e Roma era solo un borgo la cui potenza era soltanto spirituale. In Sicilia invece, si era affermata la potenza araba, non una dominazione barbara, come qualcuno dei nostri politici oggi potrebbe pensare ma antesignana di quella nuova civiltà che doveva più tardi fiorire e spandersi per l'Europa tutta. Qui, infatti, in Sicilia dalla mescolanza dei retaggi della civiltà greca e romana, con la giovane e agguerrita civiltà araba, si origina e si sviluppa una nuova civiltà. Gli arabi di Sicilia fanno rinascere e coltivano la poesia, reinventano l’architettura, diffondono la matematica, la medicina, l'alchimia (l’odierna chimica). Gli arabi di Sicilia riattivano i commerci prima ancora di Amalfi, di Pisa e di Genova che contro di loro lottarono per accaparrarsi la supremazia commerciale che nel Tirreno per circa due secoli fu in mano della Sicilia. I mercenari normanni, primi crociati per la Chiesa, non erano che rozzi soldati di ventura, ma ebbero un merito e contro la stessa Chiesa: sostituitisi agli emiri mussulmani nell'antico fiorentissimo stato, essi s'incivilirono alla scuola dei vinti e favorirono lo sviluppo già dato da questi alle lettere, alle arti e alle discipline scientifiche. Sotto di loro la Sicilia divenne l'emporio europeo della civiltà, la culla del progresso, la sede di ogni bellezza. Con Federico II, Palermo, diventa sede degl'imperatori; è la prima città d'Italia e di Germania e di tutto l'occidente, e la storia di quel periodo, che si prolunga fino alla battaglia di Tagliacozzo, ruota attorno alla Sicilia. Ma nei libri di storia non se ne parla o quasi!

lunedì 27 maggio 2013

Tradizioni e cultura siciliana


Cosa si pensa quando si parla della Sicilia? Calore, allegria e sole. Queste sono le principali caratteristiche di quest’isola meravigliosa. Il calore degli abitanti molto ospitali e che suscitano il sorriso nei turisti perché con la loro spontaneità e la pronunciata gestualità, sanno farsi voler bene da tutti. L’allegria durante le feste locali nei vari comuni della Sicilia, che sono un’infinità, sono una delle maggiori attrattive per i viaggiatori e coloro che amano divertirsi. E il sole, il sole caldo anche d’inverno, le spiagge molto visitate d’estate, e il piacevole clima mite che permette di fare escursioni e gite anche d’inverno.

 I dialetti

I dialetti parlati in Sicilia sono tantissimi e pieni di sfaccettature nei quartieri delle singole città. Tutti parlano il dialetto senza vergogna in quanto è una lingua a tutti gli effetti, con una storia e una grammatica propria. Sono diverse le matrici del dialetto siculo: indoeuropea e mediterranea (calancuni onda impetuosa di fiume); greca con la dominazione bizantina (tuppiare bussare alla porta); araba con la venuta dei Saraceni (mischinu poverino); franco-normanna con Ruggero I la sicilia tornò ad essere cristiana (quasetti calze); gallica, influenza lombarda (orbu cieco); iberica con la venuta degli spagnoli (sgarrari sbagliare).

 La cucina
Cassata siciliana - immagine ricettedisicilia.net
Cassata siciliana

Come si può notare dalla situazione linguistica siamo un mix di tradizioni e culture ma non solo in
questo campo, ma anche in cucina. Le specialità siciliane che piacciono a tutti a grandi e piccini. Il simbolo della sicilia è la cassata, un pan di Spagna farcito di ricotta zuccherata, circondata da pasta reale e decorata con frutta candita. I cannoli, una cialda fritta ripiena di ricotta zuccherata. Un alternativa al gelato è la granita, molto diffusa in sicilia, tritato di ghiaccio con sciroppi alla frutta. Mentre per quando riguarda il salato, lo street food siciliano per eccellenza: panelle (frittelle di farina di ceci), crocchè (crocchette fritte di patate lessate), sfincione (una specie di pizza a doppio strato pieno di cipolla), panino con la milza (milza e polmone di vitello), e stigghiole (budella di agnello arrostite).

 La letteratura

È piena di scrittori illustri la Sicilia. Tutto comincia con la Scuola Siciliana alla corte di Federico II, dove si sviluppo il primo volgare. Tra i più illustri ci sono: Giacomo da Lentini, inventore del sonetto; Luigi Pirandello con il suo premio Nobel per la letteratura; Luigi Capuana e Giovanni Verga entrambi veristi; Salvatore Quasimodo altro premio Nobel; Giuseppe Tomasi di Lampedusa, conosciutissimo per il suo romanzo storico “Il Gattopardo”, e molti altri autori.
Giacomo da Lentini

giovedì 16 maggio 2013

Don Luigi Sturzo

Cerimonia pubblica in Campidoglio in occasione degli ottanta anni di Don Luigi Sturzo


Ricoprì vari ruoli come quello del politico, sociologo, sacerdote, insegnante in seminario, sindaco della sua Caltagirone (Ct). A Caltagirone fonda un comitato diocesano delle associazioni di operai, di agricoltori e di studenti, una cassa rurale e una società di mutuo soccorso per artigiani, dando ad essi voce con il giornale da lui fondato e diretto, “La Voce di Costantino”. Laureato in filosofia e teologia, nel 1919 fondò il Partito Popolare del quale fu segretario fino al 1923. Contrario al fascismo, fu esule a Londra e negli Stati Uniti. Ritorna in Italia nel 1946 e riprende la sua battaglia per la libertà attraverso i giornali. Nel 1952 ottiene la nomina di senatore a vita. La sua opera si basa su una seria conoscenza economica giuridica e rara conoscenza dell’amministrazione burocratica dello stato liberale.

mercoledì 8 maggio 2013

Un'isola al centro del mondo


Un'Isola al centro del mondo ''Il sesto giorno, Iddio, compì la sua opera e lieto d'aver creato tanto bello, prese la terra tra le mani e la baciò. Là, dove lui posò le labbra, è la SICILIA centro del mondo.''





 La posizione centrale della Sicilia nel Mediterraneo ha assunto valori diversi nelle varie epoche storiche. La Sicilia era parsa quasi l'ombelico del mondo nell'età classica.Questo ruolo l’ha avuto per secoli. L’ha avuto sin dalla preistoria perché è geograficamente al centro dei traffici, delle migrazioni e dei conflitti. L’ha avuto nell’antichità perchè preda ambita di conquistatori più ambiziosi e più forti che presto sono però diventati “siciliani” e dalla Sicilia e con la Sicilia hanno perseguito l’ulteriore loro sviluppo. Lo ha perso con Roma, di cui divenne provincia. Lo ha riconquistato in pieno con gli Arabi, i Normanni e gli Svevi: La Sicilia emirato, regno, impero. Quattrocentodiciannove anni di grandezza e di esempio per i popoli, centro e protagonista del Mediterraneo e dell’Europa, terra di sviluppo e immigrazione dal sud e dal nord, dall’est e dall’ovest. Lo ha perso, per ora, con la crisi profonda del Mediterraneo, lo spostamento dei traffici sull’Atlantico, la logica dei blocchi e della guerra fredda, la globalizzazione. La Sicilia, ormai da secoli, dal 1250, anno della morte di Federico Imperatore, viene trascinata dove gli altri la portano: col sistema imperiale spagnolo, con altri grandi e piccoli dominatori, con l’Italia, con l’Occidente, con l’Europa, con la superpotenza americana. Chi ha relegato la Sicilia al ruolo di marginalità ed emarginazione vuole e fa in modo che i Siciliani stessi dimentichino la propria storia e perdano la propria lingua e cultura. E pensare che la Sicilia è stata un originale laboratorio di cooperazione fra popoli e culture. Che tutte le civiltà appena citate sono state in Sicilia, che l'hanno profondamente segnata, che il carattere attuale dei Siciliani è frutto di questa straordinaria cooperazione. La Sicilia è stata ed è rimasta, insomma, una realtà unica ed ha acquisito una cultura che le permette, soprattutto in questo periodo, di lanciare un messaggio a tutti i popoli del Mediterraneo (Tunisia, Egitto, Libia, ecc.) che sono alla ricerca della democrazia e libertà.

martedì 30 aprile 2013

Michelangelo Florio Crollalanza ovvero William Shkespeare

William Shakespeare
È stato detto che William Shakespeare è realmente nato a Messina,in Sicilia, come Michelangelo Florio Crollalanza(e se anche gli inglesi, che hanno forte il senso del nazionalismo e dell'appartenenza, hanno fatto degli studi in tal senso, questa tesi sicuramente non è poi così folle come potrebbe sembrare) I suoi genitori non erano John Shakespeare e Mary Arden, ma erano Giovanni Florio, un medico e Guglielma Crollalanza, un nobildonna siciliana. Questo forse può spiegare i molti luoghi che caratterizzano l'Italia e i nomi italiani, come: Romeo e Giulietta - Otello - Due signori di Verona- Sogno Di una Notte Di Mezza Estate - Il mercante di Venezia - Molto rumore per nulla (ambientata a Messina) – La Bisbetica Domata - Misura per misura – Giulio Cesare - Il Racconto Dell'Inverno - La Tempesta. Da un'altra intervista fatta al prof. Iuvara è riportato: Professor Iuvara, come le venuto in mente di affermare che mister Shakespeare era in realta' il dottor Crollalanza? A parte l'evidenza della traduzione della parola Shakespeare, da Shake (Crolla) e Speare (Lancia), mi sono limitato a riprendere gli studi che altri, in precedenza, avevano aperto. Così, ho trascorso parte degli ultimi dieci anni a raccogliere documenti che confermano la mia idea. Perche`, veda, io pongo delle domande a cui nessuno ha mai saputo rispondere. E cioè: come faceva il figlio di un guantaio, come la storia ci vuol fare credere, a possedere l'immensa cultura che Shakespeare dimostro` nelle materie classiche? Come poteva, un poeta inglese, e per di piu` a quei tempi, descrivere fedelmente luoghi, paesaggi e persone italiani, così come li ritroviamo in ben 15 delle 37 opere del sommo William? E perchè la biblioteca non e' mai stata messa a disposizione dei biografi? Già. E Lei, come risponde? Esistono i documenti che provano che Michelangelo Crollalanza era figlio di Giovanni Florio e Guglielma Crollalanza, nato a Messina nel 1564. Studio` latino, greco e storia presso i francescani, prendendone il saio. Ma all'eta` di 15 anni fu costretto a fuggire con la famiglia in Veneto, a causa delle idee calviniste del padre, condannato al rogo dal Sant'Uffizio per aver pubblicato le sue accuse alla Chiesa cattolica. Michelangelo abitò nel palazzo di Otello, un nobile veneziano che, accecato dalla gelosia, aveva ucciso anni prima la moglie Desdemona. S'innamoro' a Milano di una contessina, Giulietta, che venne rapita dal governatore spagnolo il quale accusò del sequestro il giovane Crollalanza perchè convinto anticalvinista. Giulietta si suicida e fu allora che Michelangelo fuggì in Inghilterra, assumendo l'identikit di un cugino morto prematuramente: il suo nome era William. E come la mettiamo con la lingua? Le sue prime opere le fa tradurre e le mette in scena al teatro in legno "The Globe". Poi quando sposa la moglie inglese, questa gli traduce i versi più famosi. D'altronde, anche per i biografi di allora, Shakespeare mostrava di avere un accento decisamente straniero. Ho quindi l'impressione che nessuno, in Inghilterra, abbia mai avuto il coraggio di tirare fuori la sua biblioteca lasciata in eredità. Salterebbe fuori la sua vera identità. Capisco la reazione degli inglesi. Sarebbe come se ci dicessero, all'improvviso, che Dante in realtà era, faccio un esempio, uno spagnolo. Cosa spera di ricavare da questa storia? Lo faccio per passione. Mi diverto a spulciare antichi documenti e a rivedere la storia ufficiale, quando questa difforme dalla realtà dei fatti. Il Professore Iuvara ha pubblicato un Saggio dal titolo Shakespeare era italiano http://www.editorialeagora.it/rw/allegati/1.pdf Anche


anche 
Oreste Palamara cerca di saperne di più e così scrive: <<Michele Agnolo (o Michelangelo) Florio (Scrollalanza dal lato materno) (n.1564 ?), di origine quacquera, visse parte della sua vita, sfuggendo alle persecuzioni religiose, nelle isole Eolie, a Messina, a Venezia, a Verona, a Stratford e a Londra. Fu autore di molte tragedie e commedie ambientate nei luoghi suddetti, che dimostrava di ben conoscere, così come dimostrava di ben conoscere la lingua italiana ed il teatro italiano, nonché di avere una buona dimestichezza con la scena italiana. Alcune sue opere rinvenute sembrano essere la versione originaria di altre ben note opere attribuite a Shakespeare, come "troppu trafficu pì nnenti", scritta in messinese, che potrebbe essere l’ originale di "Troppo rumore per nulla" di Shakespeare, apparsa 50 anni dopo.  Fuggendo con la famiglia, si trovò a vivere per un certo periodo a Venezia, ove pare che un suo vicino di casa, moro, uccidesse per gelosia la propria moglie. Su ispirazione di questa storia scrisse una tragedia e così come Sheakespeare scrisse successivamente l’ "Otello". Sempre fuggendo per la persecuzione religiosa, arrivò a Stratford,ove fu ospite di un oste guitto e ubriacone, forse parente della madre, che lo prese a benvolere come figlio, soprattutto perché gli ricordava il proprio figlio, William, che era morto.L’oste prese a chiamarlo affettuosamente "William". A questo punto bastava tradurre in inglese il cognome della madre (da "Scrolla lanza" o "scrolla la lancia" in "shake the speare" o "shake speare") ed ecco il nuovo cognome "Shakespeare". Nasce così WILLIAM SHAKESPEARE, non più perseguibile come quacquero fuggiasco, ma costretto a tenere il mistero sulla sua vera identità e le sue origini.

 
Nelle ricostruzioni biografiche successive il grande drammaturgo verrà ritenuto essere il terzo degli otto figli di John Shakespeare. Venuto improvvisamente dal nulla, senza luogo né data di nascita, ed impostosi prepotentemente, soprattutto a Londra, alla ribalta quale drammaturgo ed attore, genera presto curiosità e scalpore, che lo inducono ad accentuare il mistero, per non essere scoperto dai suoi persecutori. Ad accentuare il mistero altri particolari tutt’altro che irrilevanti: nei registri della scuola secondaria di Stratford non compare il nome di nessun William Shakespeare. Inoltre nel 1603 il nome di Shakespeare scompare dal registro degli attori forse per paura che i suoi persecutori fossero sulle sue tracce, dal 1603 il suo nome non figura più negli elenchi degli attori. Intorno al 1613 smette di scrivere per il teatro; il 23 Aprile 1616 muore. 


A meno che non vengano alla luce nuove prove sotto forma di manoscritti originali o fatti che colmino gli anni mancanti, William Shakespeare, "questo massimo genio della letteratura". La sua nascita e la sua formazione sono destinati a rimanere  un affascinante enigma. E noi continuiamo a sperare che sia davvero Michelangelo Floria Scrolla Lanza o Crollalancia e nell'attesa che una luce ci sveli e dia certezza al nostro desiderio, alla nostra apirazione, al nostro intuito


sabato 27 aprile 2013

Mistero: William Shakespeare era di Messina?

 William Shakespeare


Alcune biografie esordiscono così: “Tutto quello che sappiamo di William Shakespeare è che nacque nell'aprile del 1564 a Stradford-Upon-Avon, grosso centro del Warwickshire, a nord-ovest di Londra.
 Su di lui sono stati scritti un'infinità di libri, sono stati effettuati anni di pazienti ricerche nel tentativo di risolvere un unico fondamentale imbarazzante quesito: Qual è il mistero che avvolge la vita di William Shakespeare? Può essere davvero simile ipotesi una nuova questione omerica dei tempi moderni. Ciò che colpisce è che nel “The Times”, quotidiano londinese in data 8 Aprile-2000 è riportato, secondo lo studio di alcuni college inglesi e del Prof. Martino Iuvara di Ustica -docente della cattedra di Letteratura Italiana a Palermo-, un articolo secondo il quale William Shakespeare sarebbe nato proprio a Messina. L'articolo del "Time" così recita:  Il mistero di come e perché William Shakespeare sapeva così tanto dell'Italia ed ha messo tanto dell'Italia nelle sue opere(15 delle 37 opere del poeta sono ambientate in Italia)"è stato risolto" da un accademico siciliano pensionato:la questione risiede nel fatto che non era affatto inglese, ma italiano. Le biografie ammettono che ci sono moltissime lacune nella sua vita, ma attestano che Shakespeare era figlio di John Shakespeare e Mary Arden,che era nato a Stratford-Avon nel mese di aprile 1564, e che sia stato sepolto là nel mese di aprile del 1616. Tuttavia, il professor Martino Iuvara, 71 anni, un insegnante pensionato di letteratura, sostiene che Shakespeare era siciliano, nato a Messina come Michelangelo Florio Crollalanza e che fuggito a Londra a causa della santa inquisizione,essendo i genitori di lui fervidi sostenitori e assertori del calvinismo.(ricordiamoci che in quel periodo Messina era sotto il giogo della dominazione spagnola).

 Arrivato in Inghilterra nella cittadina di Stratford-Upon-Avon avrebbe trasformato quindi il suo nome da Michelangelo Florio Crollalanza, nel suo equivalente(tradotto letteralmente Shake= Scrollare; Speare= Lancia) Shakespeare, mentre il nome William lo avrebbe preso da un suo cugino da parte di madre, morto prematuramente a Stratford-Upon-Avon cittadina dove già da tempo vivevano alcuni suoi cugini. Un'altra ipotesi è invece quella secondo cui,una volta giunto in terra di britannia,non fece altro che trasformare al maschile il nome e cognome della madre Guglielma Crollalanza nell'esatta traduzione inglese, ovvero: William Shakesperare.

 Il prof. Iuvara dice che i primi dubbi vennero colti proprio in Italia, nei primi anni '20, quando venne ritrovato un volume di proverbi, "I secondi frutti", scritto nel XVI secolo da uno scrittore calvinista, tale Michelangelo Crollalanza. Molti di questi detti erano gli stessi utilizzati da William Shakespeare ne l'Amleto.
  La chiave del mistero,dice il professore, era il 1564, l'anno in cui Calvino è morto a Ginevra. Era l'anno in cui Michelangelo è nato a Messina. L'inquisizione era sulle tracce del Dott. Florio, allora la famiglia fuggì a Treviso, vicino Venezia, comprò stranamente casa Otello, proprio come l'Opera, costruita da un mercenario veneziano chiamato Otello che, la leggenda locale diceva, anni prima, avere ucciso, per la sua mal risposta gelosia, la moglie. Michelangelo ha studiato a Venezia, Padova e Mantova ed ha viaggiato in Danimarca, in Grecia, in Spagna ed in Austria. Nel 1588, a 24 anni, Michelangelo si recò in Inghilterra. Sua madre, la Signora Crollalanza, aveva un cugino inglese a Stratford, che prese il ragazzo in casa.Questo cugino di Stratford tradusse il cognome come Shakespeare,questi aveva avuto un figlio chiamato William, che era morto prematuramente. Michelangelo, dice il professore, ha semplicemente preso questo nome per se stesso, diventando William Shakespeare. 

lunedì 22 aprile 2013

Giovanni Gentile

Giovanni Gentile
Nell’estrema provincia della Sicilia occidentale,il 30 maggio del 1875 a Castelvetrano, nasce Giovanni Gentile astro fulgido del pensiero filosofico europeo. Il quale contribuisce fortemente a restituire all’Italia quella dignità che la sua frammentazione politica sembrava avere offuscata, sminuendone il rispetto al mondo della cultura che egli invece rinnovava con la sua originale concezione della vita che poneva il valore dell’uomo nella pienezza della sua attività spirituale. A Palermo, Giovanni Gentile trovò nella Biblioteca Filosofica la pedana di lancio delle sue idee che dovevano dissequestrare definitivamente la cultura siciliana dal lungo isolamento cui era stata costretta durante il Regno delle due Sicilie, quasi una liberazione che fu come preludio del dissequestro che egli stesso avrebbe operato delle cultura italiana quando la scoperse sotto l’egemonia del Croce che era quella di un razionalismo a scapito del sentimento e della fantasia, privilegiando essa l’élite della intellettualità, come bandiera della opposizione del suo sostenitore carismatico a un regime, nel quele, se Gentile si integrava socraticamente il Croce si degnava di fare qualche comparsa concessiva del suo alto consiglio di saggio pontificante! Così, tra le due culture non ci fu confronto, ma scontro, uno scontro che doveva determinare la fine di un sodalizio. Giovanni Gentile, invece, non tradì mai il sentimento dell’amicizia che, per il siciliano autentico, è il più sacro dopo quello per la madre, se non reagì, corrivo astioso, ai colpi duri del Croce, rimanendogli sempre umilmente e immutabilmente legato, ignorando ogni pregiudizio politico e le stesse divergenze teoriche. Egli lanciava agli italiani, ancora, la lezione della sua cultura con l’autorità del suo pensiero e la potenza della sua parola e la diffondeva dalla cattedra della scuola, dagli organi statali del potere politico, di cui egli gestì il dicastero più moralmente impegnato, attraverso anche i convegni degli istituti culturali fondati o patrocinati da quel regime che non riuscì a imbavagliarlo: chè dal suo insegnamento (cioè dalla sua parola sempre viva, sia quella parlata che quella scritta) egli non licenziò mai pappagalli della sua cultura, ma uomini, anzi promesse di uomini nuovi, che fossero soprattutto se stessi, cioè liberi:ne indico soltanto tre, tre nomi che  rispondono a Pietro Mignosi, Giuseppe Maggiore e Michele Federico Sciacca, tutti siciliani che onorano, per altezza d’ingegno e profondità di pensiero la nostra terra. Gentile non predicò soltanto, ma praticò fino al sacrificio di sé e per il riscatto del suo popolo in una Patria grande e immortale, perché, in ogni suo atto, faceva soltanto cultura, non propaganda ideologica settaria.
 Giovanni Gentile si pone come la stella da cui traggono luce tanti studiosi del pensiero europeo contemporaneo.

venerdì 19 aprile 2013

Luigi Pirandello ad Agrigento

Luigi Pirandello
Agrigento ha dato i natali allo straordinario drammaturgo, poeta e scrittore italiano Luigi Pirandello. Per ripercorrere la vita del Maestro non si può perdere l’occasione di visitare la Casa natale, il Teatro e la Biblioteca a lui dedicati.

Casa Luigi Pirandello
 La Casa in cui nacque lo scrittore nel 1867 sorge a pochi chilometri dalla città, in una contrada di campagna detta “Caos”. Fra querce ed ulivi, a strapiombo sul mare, si ritrovano i luoghi del grande maestro. Qui la famiglia Pirandello si rifugiò ai tempi del colera nel 1867. La costruzione è del Settecento ed è stata ristrutturata dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1949 è diventata monumento nazionale. Successivamente la Regione Sicilia ha restaurato la Casa e la via che conduce al pino sotto il quale è conservata l’urna dello scrittore. Oggi all’interno si possono ammirare fotografie, recensioni, prime edizioni delle opere, quadri d’autore e locandine teatrali. In più, nella casa si organizzano mostre dedicate allo scrittore.

giovedì 18 aprile 2013

La Riserva naturale dello Zingaro

Riserva dello Zingaro (Scopello)
La Riserva Naturale dello Zingaro è la prima Riserva della regione Sicilia ad essere affidata all’Azienda Regionale Foreste Demaniali.

 Questa meravigliosa riserva si estende lungo la costa occidentale del Golfo di Castellammare che si apre nel Tirreno. La maggior parte di questa riserva ricade nel comune di San Vito lo Capo e in minor parte in quello di Castellammare e all’interno è possibile visitare, oltre le bellezze naturali, anche un Museo Naturalistico, il Museo delle Attività Marinare e il Museo della Civiltà Contadina. La superficie totale di questa riserva è pari a 1650 ettari che si estendono per 7 chilometri di costa caratterizzata da numerose calette e falesie che si buttano ripide nel mare.
 La struttura del territorio di questa riserva è il risultato del sapiente lavoro della natura e dell’uomo che fino a prima dell’istituzione ne aveva coltivato ogni piccolo tratto. Questa riserva incanta per la sua bellezza fatta di colori intensi presenti in ogni stagione, calette bianche che contrastano con il mare azzurro e il verde della macchia mediterranea. Le calette sembrano delle piccole nicchie scavate sulle muraglie dolomitiche e tra le più importanti abbiamo: Cala della Capreria, Cala del Varo, Calo della Disa o Zingaro, Cala Beretta, Cala Marinella, Cala Torre dell’Uzzo e Tonnarella dell’Uzzo. In questa riserva anche il mare ricopre importanza fondamentale con i suoi cunicoli e grotte sommerse di enorme importanza e fascino come la Grotta del Colombaccio, Grotta della Corvina, Grotta della Craperia, Grotta della Mustia e Grotta della Ficarella. Ovviamente in questo tratto di mare è stato vietato introdurre fucili, canne da pesca e qualsiasi strumento di cattura. Per ciò che concerne la flora in questi posti è possibile ammirare specie molto comuni della macchia mediterranea ma anche altre di enorme interesse: Limonio, perpetuino, garofanino, fiordaliso di Sicilia, Brassica bivoniana, Helichrysum pendulum, finocchiella, cavolo selvaggio, erba perla, vilucchio turco e il rarissimo limonio di Todaro, più diffuse la gariga a palma nana. Molti tratti sono dominati dalla prateria con barboncino mediterraneo e disa. Lungo le pendici settentrionali del Monte Passo si può ammirare una plurisecolare pianta di edera. Delle piccole aree sono lasciate all’agricoltura. , inoltre vivono in questi posti il falco pellegrino, la coturnice di Sicilia, la poiana, il gheppio, il barAnche la fauna è ugualmente ricca e vanto della riserva è l’aquila Bonelli.
Riserva dello Zingaro

 La Riserva presenta due ingressi, uno da Scopello (ingresso principale, più attrezzato dal punto di vista ricettivo) e uno da San Vito Lo Capo.

martedì 16 aprile 2013

Val di Noto



Escursione nell'Età Barocca 

 Val di Noto, nella parte sud della Sicilia, comprende otto capolavori in stile barocco: Caltagirone, Militello in Val di Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa, Catania e Scicli. Le province di appartenenza sono tre: Catania, Siracusa e Ragusa. Nel 2002 Val di Noto è stata dichiarata, dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità poiché rappresenta una chiara testimonianza dell’arte e dell’architettura barocca. Ognuna di queste città porta con sé un inestimabile valore artistico e culturale che oggi mostra al mondo con vanto.




Noto


«
 Noto è una delle città d'Europa più splendidamente costruite: questa piccola remota località emerge nella memoria al pari di Würzburg oNymphenburg, come uno dei risultati più raffinati dell'età che produsse Mozart e Tiepolo »
(Douglas Sladen)





 Caltagirone

Caltagirone (la scalinata)
 Caltagirone è una delle splendide città appartenenti alla Val di Noto. Immersa nell’arte e nella bellezza la città è divisa in due da Via Roma che arriva fin ai piedi della scalinata di S. Maria del Monte. L’intera città è cosparsa di monumenti e ville da vistare quali: il teatrino, il carcere borbonico, il Museo Civico, la Villa comunale, Piazza Umberto I, Chiesa del Gesù e i quartieri di San Giorgio e San Giacomo.

 


 Militello in Val di Catania 



 Incantevole cittadina barocca nella provincia di Catania è Militello. La città deve la sua fortuna a Giovanna d’Austria che la trasformò in corte e vi passò moltissimi dei suoi giorni. La sovrana portò nella cittadina il gusto per il bello e per l’arte e le fece vivere un momento di massimo splendore. Palazzi in stile barocco riempiono la città, dal Monastero Benedettino, al museo di S. Nicolò, dalla Chiesa di S. Maria alla Catena, alla Chiesa di Maria SS. Della Stella, alla Chiesa Di S. Maria la Vetere. Tutti questi palazzi hanno il pregio di essere testimonianza dell’arte barocca e del suo splendore.

 Modica 


 
Modica è una delle città più pittoresche dell’intera Sicilia. In provincia di Ragusa si estende 
Modica la cattedrale
nella parte meridionale dei Monti Iblei ed è divisa in Modica Alta (con costruzioni che scavano la roccia) e Modica Bassa (giù nella Valle). Questo affascinante paese si presenta, agli occhi dei numerosi turisti, con palazzi, chiese, giardini, stradine e vicoli, casupole tutte immerse nello sfarzoso stile barocco. Da non perdere la Chiesa di San Giorgio, la Chiesa del Carmine, la Chiesa di S. Maria di Betlemme, la Chiesa di San Pietro, Chiesa di Santa Maria delle Grazie, Palazzo De Leva, Cattedrale di San Giovanni e Palazzo Polara. La città ha subito, nel corso degli anni, numerose invasioni, ma è con l’arrivo degli aragonesi che comincia la sua storia di ricchezza e potere, “Regno nel Regno”. A Modica vide i suoi natali Salvatore Quasimodo (premio Nobel per la letteratura nel 1959).




 Palazzolo Acreide


 Palazzolo Acreide, nel cuore degli Iblei, nasce sulle rovine dell’antica Akrai. La vecchia città si estendeva sulla cima della collina, dalla quale si può ammirare l’antico teatro Greco
 Romano in pietra bianca. Gli edifici barocchi fanno da padroni, disposti lungo le vie principali.Palazzolo-Acreide-basilica-san-paolo

 Scicli

 Scicli, a pochi chilometri da Modica, è stata ricostruita, dopo il terremoto del 1693 secondo principi barocchi, fondati sulla ricerca di spazi e di effetti illusionistici. L’itinerario della città può iniziare dal centro, in Piazza Italia dove si può ammirare la Chiesa Madre della Città barocca patrimonio dell'unesco 34Madonna delle Milizie oltre tutti gli imponenti palazzi. Continuando, troviamo la Chiesa di San Bartolomeo, Palazzo Beneventano e il complesso monastico dei Carmelitani. Le origini della città sono antichissime e molto probabilmente la cittadina fu voluta dai Siculi. Le popolazioni, che di volta in volta, l’hanno dominata sono molteplici e hanno lasciato una serie di testimonianze e reperti