martedì 26 febbraio 2013

L'odore delle mandorle amare

"Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati" (Gabriel Garcia Marquez, L’Amore ai tempi del Colera).
Valle dei Templi
 Secondo una antichissima leggenda il mandorlo nacque da uno di quegli amori disgraziati che vedevano protagonisti gli eroi, gli uomini o l’intera famiglia degli dei. Gli antichi Greci narravano che Fillide, una principessa Tracia, incontrò Acamante, figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani si innamorarono perdutamente ma Acamante fu costretto a proseguire con gli Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo aver atteso dieci anni che finisse la guerra, non vedendolo tornare con le navi vittoriose si lasciò morire per la disperazione. La dea Atena, commossa da questa struggente storia d’amore, decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Acamante in realtà non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata in albero abbracciò la pianta che per ricambiare le carezze fece prorompere dai suoi rami fiori anziché foglie. L'abbraccio si ripete ogni anno quando i fiori del mandorlo annunciano la primavera.

 Sono molte le implicazioni simboliche della Mandorla tra le quali la più diffusa è quella dell’iconografia tradizionale medievale. All’inizio del secolo scorso la provincia di Agrigento era il primo produttore mondiale e la mandorla rappresentava la principale fonte di reddito. Di questo frutto nulla veniva perduto: la legna della potatura serviva ad alimentare i forni per la cottura del pane, con il mallo esterno si lavorava un tipo di sapone molle chiamato "scibina", il guscio veniva utilizzato per alimentare i bracieri in casa. Agrigento non detiene più questo primato che tuttavia si sta cercando di recuperare. In primavera si svolge in questa città la sagra del "mandorlo in fiore che ricopre la Valle dei templi di un delicato manto bianco e rosa simile a quello di una sposa che annuncia la primavera. (A proposito di spose, sembrerà strano ma le mandorle sono molto utilizzate anche nella cucina dei Paesi settentrionali dell'Europa e in Svezia sono protagoniste di una tradizione molto simpatica. Alla vigilia di Natale si prepara un dolce di riso all'interno del quale viene nascosta una mandorla. La persona che la trova sarà la prima a sposarsi).

 I DOLCI ALLE MANDORLE

 Tutti i dolci che si preparano rimandano al mondo arabo e alle origini asiatiche della mandorla. Le mandorle amare contengono acido prussico (acido cianitrico prodotto dall’amigdalina) e non vanno dunque consumate in grande quantità. L’utilizzo della mandorla per la preparazione di dolci è molto vasto, ogni provincia o, addirittura, ogni città utilizza questo squisito frutto per la realizzazione di piatti tipici. Il Marzapane o Pasta Reale è, realmente, il principe tra dolci di mandorla. Si prepara con farina di mandorle o, in alternativa, con mandorle non tostare e frullate, e zucchero a velo in parti uguali. All’impasto viene data generalmente la forma di frutta o verdura utilizzando dei coloranti par alimenti (mandarini, fichi, ciliegie, pomodori, mele, uva, pesche, banane ...). Una tra le bevande più dissetanti preparata con le mandorle, oltre all'orzata, è il latte di mandorla, una bibita dissetante utilizzata soprattutto nelle caldi estate dei Paesi Mediterranei e, contemporaneamente molto energetica,lo sciroppo va servito allungato con acqua freschissima. Con il latte di mandorla si prepara anche la granita di mandorla, tipica prelibatezza siciliana della quale si può gustare anche la variante alla mandorle tostate.

venerdì 22 febbraio 2013

L’allievo sfida il maestro

Corace e Tisia
Il potere mistificatorio e le possibilità di manipolazione della parola sono esemplificati da un notissimo aneddoto, di cui sono protagonisti due antichi oratori, considerati i primi artefici di τέχναι ῥητορικαί, ovvero di «manuali teorico-pratici di arte oratoria». Si tratta di Corace e Tisia, che secondo la tradizione furono maestro e discepolo. La scena è a Siracusa, nella prima metà del V secolo a.C. Corace, maestro prestigioso e affermato, tiene una sorta di “scuola privata” alla quale si dirigono i giovani di belle speranze per imparare i rudimenti della retorica, una “scienza” ancora agli albori. Un giorno gli si presenta Tisia, un giovane intelligente e squattrinato, interessato ad apprendere i segreti del parlare in modo efficace e persuasivo.Corace si commuove, di fronte all’entusiasmo del suo giovane interlocutore e decide di accettarlo gratuitamente come discepolo, a questo patto: Tisia avrebbe pagato l’onorario al maestro nel momento in cui avesse affrontato e vinto il suo primo processo, dimostrando così di essere diventato oratore abile e in grado di guadagnarsi da vivere. Passa il tempo, le lezioni si sono ormai concluse, ma Tisia continua a rimandare il giorno del suo primo processo. Corace comincia a seccarsi, perché ritiene l’allievo ormai perfettamente in grado di destreggiarsi con l’arte che gli è stata insegnata. Ma poiché Tisia pervicacemente rimanda l’attività forense e si rifiuta di pagare il maestro, Corace lo cita in tribunale: «Se vincerò io il processo, mi dovrai pagare in virtù della sentenza dei giudici; se invece sarai tu il vincitore, dovrai pagarmi in virtù dei nostri accordi, visto che sarai riuscito a vincere il tuo primo processo. In ogni caso, caro il mio Tisia, sarai costretto a pagare». Ma l’allievo non si dà per vinto: «No, caro maestro. Se vincerò io il processo, non ti pagherò in virtù della sentenza dei giudici; se invece sarai tu il vincitore, non ti pagherò in virtù dei nostri accordi, perché non avrò vinto ancora il mio primo processo. In ogni caso non ti pagherò, maestro mio caro». Corace e Tisia non si accordano; non sappiamo come si concluda la disputa, ma in ogni caso essa poggia su una interpretazione immorale, eticamente spregevole, dell’insegnamento retorico: tutti e due sanno benissimo come il maestro va ricompensato. Purtroppo in Italia l’eredità retorica del passato, che ha agito bene su tutta la nostra tradizione letteraria e giuridica, ha anche questa connotazione immorale: questo è l’aspetto linguistico della nostra corruzione. Noi vediamo che in Italia l’abilità politica dei politici è soprattutto verbale, e il problema politico è un problema essenzialmente verbale: come giustificare le inadempienze.”

Corace e Tisia la scuola Siciliana di retorica

Scuola Siciliana di retorica
Quando si parla di colonizzazione greca della Sicilia e’ necessario tenere presente che quella colonizzazione non comporto’ ,come le altre, un rapporto di subordinazione o dipendenza dalla madre patria; Sicelioti,infatti, non ebbero mai l’animus ed il comportamento di chi si trova in condizioni di inferiorita’ rispetto ai Greci della madrepatria,ebbero sempre una forte coscienza di se’, coltivarono e svilupparono le varie attivita’ comprese quelle artistiche e letterarie, liberi da ogni soggezione, anzi furono spesso emuli dei Greci. Qui infatti si manifestaromo e sviluppaernoo spunti, contenuti, forme aventi caratteri propri e talvolta addirittura destinati a costituire esempi e indicazioni per il resto del mondo antico. Quando in Sicilia furono abbattuti i tiranni e cominciarono a svolgersi processi per la restaurazione delle proprieta’ private, proprio allora ,per la prima volta, essendo quella una popolazione dotata di acume, dai dibattiti giudiziari nacque l’arte del dire e ne misero per iscritto le regole i siciliani Corace e Tisia”. Cosi’ secondo Cicerone Aristotele attribuiva l’origine della retorica. Si dice infatti che Empedocle sia stato il primo, dopo Corace e Tisia, che abbia dato un impulso all'arte retorica. I Siciliani Corace e Tisia,quindi,furono i più antichi scrittori di retorica, poi ai quali seguì un uomo di quella medesima isola, Gorgia di Leontini, che fu, si dice, discepolo di Empedocle". Corace e Tisia siracusani, sono dunque nel V secolo a.C., gli autori del primo trattato di retorica del mondo antico. Ma la cosa piu’ importante e’ sicuramente considerare che i siracusani Tisia e Corace non solo furono i padri della retorica , ma influirono anche su tutta l’eloquenza posteriore e in particolare il principio della verisimiglianza fu tenuto presente da sofisti e pensatori come Gorgia , Protagora e Platone per non parlare dei tempi a noi molto vicini.

martedì 19 febbraio 2013

Il Barocco Siciliano

Modica la cattedrale

Scicli Palazzo Beneventano
Noto la cattedrale


Il Barocco si sviluppa in Italia nel XVI secolo. E’ uno stile dal gusto drammatico, fatto di masse in movimento, adorno di sculture e di chiaroscuri che giocano tra loro, creando luci ed ombre, in un incrocio emotivo e suggestivo. Nello stesso periodo temporale in Sicilia si costruisce, soprattutto, secondo uno stile autoctono o con un'architettura classicista tardo rinascimentale solo da poco fattasi strada nell'isola. Il barocco è per lo più ignorato. Nel 1693 con il terremoto che colpì il Val di Noto, l’esigenza della ricostruzione porta nell’isola una serie di architetti siciliani formatisi a Roma ed artisti venuti da fuori. Le possibilità costruttive ed applicative del barocco sono ingenti: nasce un sofisticato stile Barocco, popolare e colto, che si radica nel territorio siciliano. Lo stile impera per quasi tutto il XVIII secolo. Solo verso la fine viene sostituito, secondo la moda, dal neoclassicismo. La ricchezza delle decorazioni, nella storia sociale siciliana del periodo, ne fa lo stile eletto per esprimere ricchezza e nobiltà del proprietario, un vero marchio d’identità, che tutt’oggi viene letto secondo questo parametro. E’ il canto del cigno della nobiltà siciliana che, nel giro di un secolo, decadrà sotto i colpi della modernità. Antony Blunt nel suo libro "Barocco Siciliano" (1968) divide l'architettura barocca siciliana in tre grandi fasi: Prima fase : caratterizzata dalla presenza di edifici in stile paesano, contrassegnato da grande libertà e fantasia, particolarmente nel modo di trattare il dettaglio architettonico e le decorazioni plastiche, ma francamente provinciale e spesso ingenuo. Seconda Fase: caratterizzata da uno stile più elaborato, introdotto da architetti siciliani formatisi sul continente particolarmente a Roma e a Napoli. Terza fase: caratterizzata da una evoluzione dello stile romano verso una visione che più si adatta alle tradizioni e alla cultura locali. A proposito della terza fase Blunt scrive: “Nella terza fase gli architetti locali, superando lo stadio della discendenza ideale da Roma, enucleano uno stile nuovo e in alto grado personale. Nella facciata del Duomo di Siracusa, opera di Andrea Palma, nelle chiese di Rosario Gagliardi a Noto, Ragusa e Modica, nelle ville di Tommaso Napoli a Bagheria, come in molti edifici dei centri minori, gli architetti siciliani, pur mettendo a frutto gli insegnamenti ricevuti da Roma e da Napoli, adattano questi modelli alle esigenze e alle tradizioni locali costruendo un gruppo di monumenti che possono catalogarsi fra le più alte creazioni del tardo Barocco.”

lunedì 18 febbraio 2013

Morgantina il profumo della storia

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Sito Morgantina
 Nel piccolo comune di Aidone, vive una grande città: Morgantina! Un sito archeologico recentemente scoperto, che ha portato alla luce i resti dell’antica città greca. E’ un sito archeologico magico! Ha tutte le caratteristiche architettoniche ed urbanistiche della città greca per eccellenza. Scoperta nel 1955, grazie a dei lavori condotti dall’Università di Princeton. Dagli scavi sono emersi resti databili dalla metà del V alla fine del I secolo a.C. Tra questi la bellissima statua di Venere Morgantina Visitando il sito ci si immerge nel passato e si rivivono gli ambienti di quest’antica città, dall’agorà all’acropoli, dalle mura di cinta alle aree sacre… In due ore si riesce a visitare tutto il sito e in più si può completare con la visita al Museo archeologico.

giovedì 14 febbraio 2013

Scicli citta patrimonio dell'unesco




« È la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna... Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle... »
(Elio Vittorini )

Scicli (Scichili in siciliano) è un comune della provincia di Ragusa. Monumentale città barocca dalle forme di un eccelso presente vivente, nel 2002 il suo centro storico è stato insignito del titolo di Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO, insieme con la Val di Noto.

Un angolo gradevole di Scicli, il Municipio con accanto San Giovanni  - SCICLI - inserita il 06-Mar-12

Un angolo gradevole di Scicli il Municipio accanto San Giovanni




 Scicli città patrimonio dell'unesco


mercoledì 13 febbraio 2013

Breve storia del Vino Siciliano

Ordinazione scritta e firmata
Bacco
La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo e, certamente, è la più importante per arte, storia ed attività economiche. In questa terra dall'antica vocazione per la coltura della vite, i coloni greci, giunti a Naxos, per primi si dedicarono “in maniera professionale” alla cultura della vite, dando inizio alla produzione degli ormai celebri vini siciliani. I Fenici, dal canto loro, audaci navigatori e mercanti di razza quali erano, fecero dei vini siciliani uno dei prodotti più importanti per gli scambi commerciali di quell'epoca. Il Marsala ed il Moscato , prodotti nelle storiche Cantine Siciliane, ne sono ancora oggi testimonianza. In Sicilia, infatti, l'uva rappresenta ancora una delle risorse di maggior rilievo, per qualità e quantità, nel rendere l'isola famosa in tutto il mondo. Oggi il vino siciliano sfiora un volume d'affari di centinaia di milioni di euro. I vini siciliani rappresentano il fiore all'occhiello della eruzione nel settore agro-alimentare siciliano. Il vino siciliano è il risultato di una produzione di qualità garantita: diversi vini siciliani possono vantare la Denominazione d'Origine Controllata e Garantita (DOCG), la Denominazione di Origine Controllata (D.O.C) e l'Indicazione Geografica Tipica (IGT). Ma Sicilia è famosa, anche, per la produzione di vini dolci e liquorosi. Si va dal Marsala, conosciuto in tutto il mondo, alla Malvasia delle Lipari, dal Moscato di Noto e Siracusa al Passito di Pantelleria fino allo Zibibbo. Tra i vini siciliani da tavola, oltre al rinomato Nero D'Avola, ci sono il Bianco d'Alcamo, prodotto nelle province di Palermo e Trapani, l'Eloro bianco e rosso, il Contessa Entellina, il Delia Nivolelli, l'Etna, il Faro, Menfi, Monreale, Riesi, Santa Margherita di Belice e Sciacca, fino ad arrivare al Sambuca di Sicilia.
 Qualche dato a conferma della vocazione dell'isola alla produzione di vini: la Sicilia è la regione italiana con il più elevato patrimonio vitivinicolo di tutta la nazione, seguita dalla Puglia e dal Veneto; in Sicilia i terreni coltivati per produrre il miglior vino siciliano si concentrano per il 65% in collina, per il 30% in pianura e per il restante 5% in montagna; tra le province che danno vita ai migliori vini siciliani la più vitale è Trapani, seguita da Agrigento e Palermo.

martedì 12 febbraio 2013

Il Giardino della Kolymbetra


Giardino della Kolympetra
Giardino della Kolimpetra
Il Giardino Autentico gioiello archeologico e agricolo della Valle dei Templi, tornato allo splendore dopo decenni di abbandono, il Giardino della Kolymbetra è un luogo straordinario per la magnificenza della natura e per la ricchezza dei reperti archeologici che ancora vengono alla luce. Si sviluppa all’interno della Valle dei Templi per circa cinque ettari, entro pareti di tufo che ne costituiscono il perimetro naturale, e si colloca tra il tempio di Castore e Polluce e quello di Vulcano. Molteplici sono le specie di piante che custodisce, alcune delle quali non più coltivate al giorno d’oggi. La storia Le origini del Giardino risalgono all’epoca in cui i greci colonizzarono la Sicilia (500 a.C) e la sua storia è legata allo sviluppo dell’antica città di Akragas, che sorgeva sulla piana della rupe Atenea. Diodoro Siculo narra che il tiranno Terone affidò all’architetto Feace il compito di progettare un sistema idrico per approvvigionare la città: grazie al nuovo sistema di canalizzazione i greci akragantini riuscirono a trasformare l’arida terra siciliana in un fiorente giardino ricco di piante mediterranee. Gli antichi ipogei (o acquedotti Feaci), dai quali ancora sgorgano limpide acque utilizzate per l’irrigazione, sono oggi tra i pochi esplorabili nella Valle dei Templi e risalgono al V sec. a.C., quando alimentavano l’antica piscina (Kolymbetra). Il Giardino è stato affidato in concessione dalla Regione Siciliana al FAI, che ha provveduto al recupero paesaggistico, restituendo al pubblico un’importante testimonianza storico-artistica e naturalistica della nostra civiltà.

lunedì 11 febbraio 2013

L'orecchio di Dionisio

Orecchio di Dionisio
L'Orecchio di Dionisio (o Orecchio di Dionigi) è una grotta artificiale che si trova nell'antica cava di pietra detta latomia del Paradiso, poco lontano dal Teatro Greco di Siracusa. Scavata nel calcare, alta circa 23 metri larga dagli 8 agli 11 e profonda circa 65, dotata di una eccezionale proprietà acustica che amplifica i suoni fino a 16 volte. La sua particolare forma, simile ad un padiglione auricolare, e le sue caratteristiche acustiche, indussero Michelangelo di Caravaggio a soprannominarla "Orecchio di Dionisio", avvalorando così la leggenda secondo la quale Dionisio fece scavare la grotta dove rinchiudeva i prigionieri, e appostandosi all'interno di una cavità superiore ascoltava i loro discorsi. Grazie alla sua forma, l'Orecchio di Dionisio possiede caratteristiche acustiche tali da amplificare i suoni fino a 16 volte. Affascinato dall'acustica e dalla suggestione del luogo, il Caravaggio ambientò in questa latomia il celebre quadro Il seppellimento di Santa Lucia.Secondo alcuni la presenza della cavità posta sotto la cavea del Teatro Greco, favorisce l'acustica del teatro. Recentemente è stato proposto dai Platonici di rinominare l'Orecchio di Dionisio "Caverna di Platone", considerando il fatto che il filosofo ateniese fu uno dei prigionieri del tiranno siracusano, e che, nei libri centrali della "Repubblica", il mito della caverna è evocato con immagini che richiamano da vicino la cava di Siracusa.

venerdì 8 febbraio 2013

Pantelleria dagli strani Sesi ai caratteristici Dammusi

Dammuso
 Dammuso

La movimentata storia dell’ isola di Pantelleria è dovuta all’ importanza della sua posizione geografica ed è strettamente collegata al mare. Infatti dal mare arrivò, il popolo dei Sesioti, per estrarre l’ossidiana la pietra nera e lucida considerata l’oro della preistoria. Questo popolo lasciò tracce molto importanti:hanno dimostrato di possedere metodi costruttivi ed architettonici ben distinguibili da altri popoli presenti nel Mondo Antico.Eccezionali sono le tracce che oggi si possono ammirare. Prima di tutto l’insediamento preistorico ubicato in località Mursia. Si tratta di un villaggio fortificato, costruito a strapiombo sul mare, circondato da un possente muro(il più grande muro preistorico del Mediterraneo finora scoperto). Un’opera di grande abilità costruttiva che questo popolo ci ha tramandato insieme alle capanne che oggi sono parzialmente visibili. La natura dell’isola, così varia e unica nel Mediterraneo,ha sensibilmente influenzato gli uomini, che per millenni l’hanno abitata. Altro importantissimo passo avanti evolutivo del modello preistorico avviene con l'introduzione della costruzione delle cisterne. La funzione principale di queste era quella di raccogliere e conservare la preziosa acqua piovana dando così sicurezza agli abitanti. Questo impegno costruttivo durante il periodo punico-romano fu così grande e imponente tanto da rivoluzionare il territorio.Sorsero centinaia di fattorie e si cominciò a sfruttare dal punto di vista agricolo ogni angolo di Pantelleria. Oggi sono migliaia le cisterne disseminate per tutta l’isola. Ma la cosa più importante è che queste ancora oggi dopo quasi 2500 anni sono perfettamente funzionanti, senza che l’uomo sia intervenuto nel tempo tranne che per la periodica pulizia. A questo punto ci chiediamo: quale materiale edilizio - tecnologico dei tempi nostri potrà mantenere una così lunga durata per secoli e secoli? Queste tipologie di costruzione furono così funzionali tanto da essere usate per molti secoli, nonostante vari furono i popoli che abitarono l’isola. 


    Il Dammuso le origini

     Nel X sec. D.C. nasce il simbolo architettonico di Pantelleria: il dammuso, che si evolverà nel tempo fino al XVII sec. Analizzando il modello con le conoscenze attuali si può pensare che il dammuso sia stato progettato da ingegneri, architetti ed ecologisti. L’eccezionale spessore dei muri è necessario per assorbire le spinte delle cupole,la forma particolare di questi tetti è stata concepita anche per permettere la canalizzazione dell’acqua piovana verso le cisterne, poste in prossimità del dammuso, senza perderne una sola goccia. I possenti muri del dammuso permettono di isolare l’interno dalla temperatura esterna tanto da creare un ambiente fresco d’estate e caldo d’inverno. Gli elementi che completano l’unità base del dammuso da abitazione sono: il forno, le stalle, l’aia, lo stenditoio, il "passiaturi" e "U Jardinu".



    giovedì 7 febbraio 2013

    La perla nera del Mediterraneo

    Ustica
    Solitaria in mezzo al mar Tirreno, splende una piccola perla: Ustica. Un viaggio nel profondo blu, nel paradiso delle vacanze per gli amanti del mare e della subacquea. Un percorso, tra terra e mare, ricco di scoperte ed emozioni; un viaggio nel “caos calmo” di un’isola decisamente diversa dalle altre. Questa piccolissima isola vulcanica di soli 9 kmq circa, parte emersa di un grande vulcano sottomarino, è anche la più antica, affiorata molto prima delle Eolie. La sua origine e il colore nero della lava determinano la scelta del nome, dal latino ustum, che significa bruciato. Qui c’è un forte contrasto ottico tra il nero delle rocce, il bianco e il colore delle case del centro abitato che si aprono ad anfiteatro sul porto Cala Santa Maria. Nel 1987 è stata dichiarata riserva marina, per preservare e proteggere l’immenso patrimonio faunistico e ambientale che si cela nel suo mondo sommerso.

    mercoledì 6 febbraio 2013

    Capire la Sicilia

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    Consolo Sciascia Bufalino
    "Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l'oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura, secondo che ci tenti l'espatrio o ci lusinghi l'intimità di una tana, la seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L'insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi. „
                                                                                                        Gesualdo Bufalino


    martedì 5 febbraio 2013

    Nobile e barocca Poggioreale ovvero Elima


    File:Corredo.JPG
    Corredo funebre territorio di Poggioreale periodo  Elimo
    Nobile e barocca, Poggioreale, in provincia di Trapani, fa parte di quei comuni violentemente funestati dal terremoto del 1968. Da 45 anni non ha conosciuto altro che un lento, drammatico e inesorabile declino. I suoi abitanti, costretti a lasciarla all’indomani della tragedia, oggi guardano con preoccupazione al futuro di un paese che rischia di scomparire nell’oblio e si affidano anche a Facebook per salvare le meraviglia di una città pronta a riconquistare la sua suggestiva visione. E’ la terra degli “Elimi”, misterioso popolo che per più di un millennio si insediò in quella parte di Sicilia dominata dalla superba Segesta, ovvero Poggioreale, in Provincia di Trapani. Un piccolo centro che sorge su quella Valle del Belice tristemente nota ai più per la funesta scossa che nel 1968 rase al suolo diversi comuni nella parte occidentale dell’isola. Poggioreale reca ancora oggi, a distanza di 45 anni, i segni di quella “freccia” che la colpì dritta al cuore e la ragione è da ricercare nel fatto che ben lungi dal cicatrizzarsi, quella ferita sanguina ancora. Quel che resta dell’antico centro barocco non è quello che ci è stato restituito dal terremoto. Negli anni si sono avvicendati numerosi crolli che stanno conducendo all’inesorabile, impotente declino di un pezzo della valle del Belice, ma soprattutto alle perdita di uno spaccato di vita contadina, di tecniche costruttive, di un patrimonio archeologico notevole. Sul vicino Monte Castellazzo nelle campagne di scavi nel periodo 1974-79 sono emersi i resti di capanne della media età del Bronzo (1.400-1.300 a.C.) I successivi scavi del 1981, sotto il coordinamento del Dott. G. Falsone, permisero di individuare una nuova fase più antica risalente, addirittura, alla fine dell'età del Rame o agli inizi del Bronzo Antico (2000 a.C La ricchezza di Poggioreale è certificata dall’origine del suo nome, derivante dal latino“Podus Riali” ovvero “Poggio degno di un Re” perché sorge su una collina da cui è godibile una splendida vista e un clima mite. Il suo fiore all’occhiello è sicuramente il centro storico, scelto dal regista Giuseppe Tornatore come set di due fra i suoi più celebri film: “Malena” e “L’uomo delle stelle”. Ciò perché al di là della tragedia che l’ha colpito, Poggioreale rimane un luogo incantato e chiunque abbia fatto l’esperienza di passeggiare fra quei ruderi, non ha potuto fare a meno di respirare l’atmosfera magica che promana dalle sue antiche strade. Nonostante i media non se ne occupino più perché la tragedia del Belice sembra ormai archiviata, nei fatti sono numerosi i turisti che in qualsiasi stagione dell’anno visitano l’antico borgo barocco. E, oltre ai turisti, c’è qualcuno che ama questo paese dimenticato, i poggiorealesi che non hanno mai abbandonato il ricordo delle strade e dei vicoli della città antica, che sopravvive imperiosa e regale a dispetto degli eventi.

    La città di Elima

    Molti storici hanno voluto in maniera del tutto arbitraria identificare la città di Elima con Erice, ritenendo pertanto che una città di nome Elima non sia mai esistita. Se le fonti attestano dell'arrivo di un Elimo, di nobili discendenze, al punto tale che il popolo da lui prese il nome, si deve ritenere che allo stesso modo di come Segesta prese nome dall'eponimo Aceste, debba essere esistita una città Elima dall'eponimo Elimo. Lo storico Dionigi di Alicarnasso riporta che Enea giunto in Sicilia, incontratosi con Aceste e Elimo, dimostrò loro la sua amicizia col fondare per essi le città di Segesta e di Elima.     Lo storico Aloisio pone, con certezza, la costruzione della città di Elima  sul monte Castellazzo di Poggioreale, afferma che non si trattò di una città grande e importante quanto Segesta, destinata a diventare il centro politico degli Elimi, ma che ebbe una connotazione di fortilizio, posta in una posizione strategica a controllo della via del Crimiso destro (Belice), a suo tempo un fiume navigabile, che da Selinunte conduceva al punto di confluenza,in uno snodo cruciale per raggiungere Agrigento-Siracusa o per raggiungere la città di Schera (Corleone) e Makella (Marineo) e da lì seguendo il corso dell'Eleuterio il mare dei Tirreni e Himera.

    lunedì 4 febbraio 2013

    Un viaggio d’incontro tra Grecia e Sicilia

    Castello colle Eufemio
    Segesta tempio Dorico
    Un viaggio in uno dei luoghi più suggestivi della Sicilia: Calatafimi Segesta e il suo sito archeologico. Si rimane affascinati da quest’antica città, fondata dal popolo degli Elimi dell’antica Troia, e dai tesori che conserva. “All’estremità di una valle lunga e larga, isolato in vetta a una collina e insieme cinto da rupi, domina lontano un’ampia distesa di terra, ma solo un breve tratto di mare. Il paese d’intorno è immerso in una fertilità malinconica, tutto coltivato, eppure quasi privo di abitazioni umane”. Con queste parole Goethe descrisse, nel 1787, il maestoso tempio dorico di Segesta. Il piccolo comune di Calatafimi Segesta, conosciuto da molti con il solo nome di Segesta per la zona del parco archeologico che ospita, è collocato tra morbide e ridenti colline nella provincia di Trapani, dalle quali è possibile scorgere l’azzurro del mare di Castellammare del Golfo.

    sabato 2 febbraio 2013

    E vui durmiti ancora! ..

    E vui durmiti ancora! è il titolo di una poesia siciliana scritta da Giovanni Formisano nel 1910 e musicata da Gaetano Emanuel Calì. Il Calì ebbe modo di leggere i versi del suo concittadino e la bellezza del testo lo colpì così tanto che, spinto dall'ispirazione, in una notte ne compose la musica. Tuttavia la versione musicata rimase solo un progetto personale e dovette attendere il 1927 per essere finalmente incisa. "Si dice che fosse il 1916. Sul fronte della Carnia si fronteggiavano gli austriaci e due reggimenti formati da Siciliani. Si sparavano e si ammazzavano. Una sera, splendendo la luna, uno dei nostri, un soldato siciliano, prese la sua chitarra e cantò. E mentre cantava, gli spari cessarono. E quando finì di cantare, gli austriaci applaudirono. Questa canzone, cantò il soldato. Non era quello il suo posto, in mezzo alla Morte. E lui invocò il suo posto." ...E vui durmiti ancora!


    E vui durmiti ancora! 


    Lu suli è già spuntatu ni lu mari 
    e vui bidduzza mia durmiti ancora
    l'aceddi sunnu stanchi di cantari

    e affriddateddi aspettanu ccà fora,

    supra 'ssu balcuneddu su' pusate

    e aspettunu quann'è cca v'affacciati.

    Lassati stari, non durmiti chiùi,
    ca 'mmenzu ad iddi dintra a 'sta vanedda
    ci sugnu puru iù c'aspettu a vui
    pri vidiri 'ssa facci accussi be
    passu ccà fora tutti li nuttati

    e aspettu sulu quannu v'affacciati.
    Li ciuri senza vui nun ponu stari
    su tutti ccu li testi a pinnuluni,

    ognunu d'iddi non voli sbucciari
    su prima non si grapi 'ssu balcuni,
    dintra lu buttuneddu su' ammucciati
    e aspettunu quann'è cca v'affacciati.
    Lassati stari, non durmiti chiùi,

    ca 'mmenzu ad iddi dintra a 'sta vanedda

    ci sugnu puru iù c'aspettu a vui
    pri vidiri 'ssa facci accussi bedda
    passu ccà fora tutti li nuttati
    e aspettu sulu quannu v'affacciati.
    passu ccà fora tutti li nuttati
    e aspettu sulu quannu v'affacciati































    Misteriose rovine sommerse nel Canale di Sicilia

    1957, 2010: due occasioni in cui sono state individuate misteriose rovine sommerse sui fondali del Canale di Sicilia, tra l'isola di Linosa ed il Golfo della Sirte. Il pensiero istintivamente corre alle cittadine sommerse individuate alcune decine di anni fa al largo delle coste israeliane e risalenti al 6000 a. C. circa. Le ricerche geologiche d'altra parte confermano che vaste aree tra la Tunisia e la Sicilia, oggi in fondo al mare, erano allora all'asciutto e dunque potevano ospitare anche centri abitati. Forse anche il misterioso Lago Tritonide, sede del Regno delle Amazzoni, citato da molti autori antichi e sommerso dal mare, poteva corrispondere ad un lago tunisino ora non più esistente. Nell'estate del 1957 il capitano Raimondo Bucher, esperto subacqueo effettuò insieme al fratello alcune immersioni presso l'Isola di Linosa. Secondo il suo resoconto all'agenzia "Italia",i due sommozzatori si imbatterono in una vera e propria muraglia sommersa lunga un centinaio di metri e costituita da massi regolarmente squadrati che strapiombavano fino ad una profondità di 55-60 metri. Tutta questa storia dopo gli anni cinquanta sembrava essere stata dimenticata, ma proprio in questi ultimi tempi è tornata alla ribalta in seguito ad un'altra curiosa notizia. Alla fine di gennaio del 2010 le agenzie di stampa hanno infatti battuto il seguente comunicato: "Mezzi della Marina libica avrebbero scoperto, sui fondali al centro del Mar Mediterraneo, cospicue tracce d'interesse archeologico, tra cui anche i resti di diversi edifici di tipo urbano. Si tratta forse dei reperti dell'antica capitale di Atlantide? Trapelava la notizia che resti di costruzioni di importanza notevole sarebbero stati individuati a quasi 400 metri di profondità, sopra un fondale piuttosto basso. Il ritrovamento è avvenuto in alto mare, in una località che non viene esattamente rivelata, tra il Canale di Sicilia e le acque del Mediterraneo orientale. Frammenti di sculture, diversi oggetti metallici d'uso comune e la testa di Melqart (eroe semi-divino),sono stati portati a riva e sono ora allo studio presso i competenti uffici archeologici di Stato della Jamahiriya. La notizia appare di primaria importanza, perché la localizzazione sembra confermare alcuni studi su Atlantide, compiuti da un noto studioso italiano. Lo studioso in questione è Alberto Arecchi che localizza il sito della leggendaria isola platonica appunto nel Canale di Sicilia, mettendola in correlazione anche con le misteriose civiltà del Nord-Africa.