giovedì 5 dicembre 2013

La rete viaria nella Sicilia Greca

“Dove c’è una trazzera di lì passa la storia”

 Recuperare la memoria storica degli antichi percorsi viari e con essi tutte le testimonianze come città, fondaci, abbeveratoi, stazioni di posta, ponti che si avvicendavano via via lungo le strade significa restituire identità storico -culturale ad un paese. Se dovessimo rispondere alla domanda cos ‘è una strada, potremmo dire che essa è un contenitore culturale o, meglio, una costruzione umana, voluta da un gruppo sociale, per soddisfare necessità militari, economiche, sociali, religiose e di trasporto.

 L'immenso patrimonio delle trazzere, formatosi nel corso dei millenni, andò sviluppandosi in epoca preistorica per la transumanza degli animali e per collegare tra loro i primi centri abitati che si andavano costituendo nell'isola, subì ulteriori incrementi quando tra il II e il I millennio aumentarono le necessità legate ai collegamenti e agli scambi. L'importanza delle trazzere era strettamente legata all'importanza dei centri che esse collegavano. Alcuni esperti di linguistica fanno derivare il termine "trazzera" dal latino "tractus" (tracciato).

 Gli antichissimi tracciati dovevano fondarsi sul sistema delle trazzere:'archeologo Paolo Orsi l'aveva intuito in occasione del rinvenimento a Siracusa di un tratto di una "antichissima arteria stradale", tenuta in attività fino a circa la metà dell'800, e a suo giudizio certamente greca, infatti osservava: "Chi ponesse mano all'attraente e nuovissimo studio della viabilità antica arriverebbe alla singolare conclusione, che quasi tutte le vecchie trazzere non erano in ultima analisi che le pessime e grandi strade dell’antichità greca e romana, e talune, forse, rimontano ancora più indietro".
Col termine Regie trazzere, in uso nel XIX secolo si denominarono, poi le trazzere del Demanio Regio che si collegavano tra loro. La costruzione delle strade carrozzabili avvenne, in Sicilia, solo attorno al 1778.

 Trazzera delle vacche e trazzera dei Jenchi 

Trazzera delle vacche e trazzera dei Jenchi
La cartina, sotto riportata riproduce una lunga direttrice, usata per la transumanza, tra III e I millennio a. C. È la trazzera delle vacche che parte da Cesarò, si dirige su Catenanuova, segue il corso del Dittaino, punta su Calascibetta e Caltanissetta dirigendosi poi verso ovest ove tra Catronovo e Cammarata si ricongiunge alla Via De' Jenchi, questa percorre la strada per Prizzi punta su Corleone, il Castello Calatrasi e Salemi e poi perdersi nel trapanese.

venerdì 13 settembre 2013

La Rivolta del Sette e Mezzo



La rivolta del sette e mezzo fu la sollevazione popolare avvenuta a Palermo dal 16 al 22 settembre 1866. Chiamata del "sette e mezzo" perché durò sette giorni e mezzo.

Le cause

 Tra le cause: la crescente miseria della popolazione, il colera e le sue 53 000 vittime, le terre ecclesiastiche destinate alla redistribuzione e assegnate ai contadini, vennero in realtà vendute all’asta e di conseguenza furono acquistate da grossi proprietari terrieri,l'integralismo dei funzionari statali piemontesi, che consideravano "quasi barbari i palermitani",le pesanti misure poliziesche e vessatori introdotte,il sacrificio produttivo” che il governo piemontese attuò nel Sud Italia, per favorire l’economia settentrionale; la povertà dei redditi agricoli,e per capire ciò, basta andare ad equipararli con quelli della Lombardia: nel 1866 in Sicilia, un ettaro di superficie produttiva rendeva mediamente 74 lire, a fronte di quelli lombardi che invece rendevano 161 lire e le spinte autonomistiche che prendevano sempre più il sopravvento.

La rivolta



 Migliaia di persone insorsero, anche armati, provenienti anche dai paesi vicini. Quasi 4.000 rivoltosi assalirono prefettura e questura, uccidendo l'ispettore generale del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. La città restò in mano agli insorti e la rivolta si estese nei giorni seguenti anche nei paesi limitrofi, come Monreale e Misilmeri: fu stimato che in totale gli insorti armati fossero circa 35.000 in provincia di Palermo. Negli scontri di quei giorni persero la vita ventuno carabinieri e dieci guardie di pubblica sicurezza. Palermo per sette giorni rimase così in mano ai rivoltosi. Il governo italiano decise di proclamare lo stato d'assedio e ad adottare contro il popolo palermitano una dura repressione, con rappresaglie, persecuzioni, torture e violenze. Ci furono duri scontri, i ribelli riuscirono a tener testa all’esercito regolare. Il 21, le truppe piemontesi cominciarono a riprendere il controllo delle situazione.

Reazione governativa

La rivoltà durò 7 giorni e mezzo; il 22 Settembre il generale Cadorna riusciva a penetrare in città. Fucilazioni sommarie avvennero dopo la repressione della sollevazione. Sicuramente dietro alla rivolta, un’abile mano dirigente manovrava il tutto (comitati borbonici e repubblicani azionisti) anche perché moti contemporanei a quello di Palermo scoppiarono a Monreale, Borgetto, Torretta, Misilmeri, Villabate, Mezzojiuso, Marineo, Corleone, Piane dei Greci, province di Trapani e Catania. Tuttavia, non bisogna sottovalutare il coinvolgimento spontaneo popolare, prova questa, di un diffuso malcontento all’interno della popolazione.

lunedì 9 settembre 2013

La Questine Meridionale

Con l'espressione “Questione Meridionale” si definisce il divario, nelle attività sociali ed economiche,tra le regioni settentrionali e quelle meridionali dell’Italia; tale divario ha dato luogo ad un ampio dibattito relativo alle cause del mancato sviluppo economico, sociale, culturale del Sud dopo l'Unità d'Italia.
Analizziamo di seguito, e più nel dettaglio, in cosa consiste il grande divario tra il Nord e il Sud dell'Italia e individuiamo le cause che lo hanno determinato, ricercando le "precise responsabilità" sullo stato di abbandono e di miseria del Sud e, in particolare, della Sicilia. Da decenni, in Sicilia, l’immobilismo sociale aveva sostenuto l’esistenza di una classe parassitaria, quella dei baroni, che affittavano le loro terre senza farvi alcun investimento. In più, i Borboni dopo le tendenze riformatrici dei primi anni, promosse da Ferdinando, avevano rinunciato a modernizzare il Paese.

Da decenni, in Sicilia, l’immobilismo sociale aveva sostenuto l’esistenza di una classe parassitaria, quella dei baroni, che affittavano le loro terre senza farvi alcun investimento. In più, i Borbone, dopo le tendenze riformatrici dei primi anni, promosse da Ferdinando, avevano rinunciato a modernizzare il Paese.A contribuire allo spirito unitario siciliano vi era non solo l’odio dei siciliani stessi verso i Borbone, i quali avevano reso il loro territorio una provincia di Napoli, ma anche l’anelito di poter riacquistare la propria autonomia. Quanto alla cultura politica siciliana, essa si era plasmata sui movimenti italiani più influenti, quello mazziniano e quello liberale. Fu in questo contesto storico che gli eventi siciliani, come, ad esempio, la Rivolta della Gancia guidata da Francesco Riso, si fusero ai tentativi di esponenti come Mazzini e Cavour di unificare tutti i territori abitati da italiani, costituendo, pertanto, gli episodi cardine del Risorgimento italiano.

Il 5 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi, con il supporto di Francesco Crispi, salpò da Quarto e sbarcò a Marsala l’11 maggio. Arrivato in Sicilia Garibaldi si dichiarò dittatore in nome di Vittorio Emanuele II di Savoia. Con l’aiuto dei patriotti siciliani, detti “picciotti”, Garibaldi riuscì a strappare all’esercito borbonico le città di Calatafimi, Alcamo ed infine Palermo. Dopo aver strappato l’ultima città siciliana, Messina, ai Borbone, Garibaldi risalì la penisola, attraversando quasi tutte le regioni meridionali e conquistandole. La sua azione si risolse con l’incontro di Teano del 26 ottobre 1860, durante il quale cedette le terre occupate a Vittorio Emanuele II e con il quale finisce simbolicamente la spedizione dei Mille. Con il plebiscito del 21 ottobre 1860, quasi il 75% dei siciliani votò per l’annessione al Piemonte, speranzoso che il nuovo governo avrebbe cambiato radicalmente le condizioni di vita. Ma come disse Massimo D’Azeglio all’indomani dell’Unità: "Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani". La nuova Italia, infatti, era costituita da popolazioni poco eterogenee sotto il profilo economico, sociale e culturale. I governi che si susseguirono scartarono l'ipotesi federalista o regionalista, optarono per un forte accentramento, con ripartizioni amministrative rette da un prefetto, in quella che venne definita “Piemontizzazione”. I prefetti che venivano assegnati ai diversi territori erano per lo più piemontesi e questo si risolveva in incomprensioni con la popolazione. Furono trascurate dallo stesso Cavour e dal governo centrale l’autonomia e le leggi speciali che la Sicilia possedeva sotto i Borbone e che ora aspirava a mantenere. Già con Garibaldi erano nati in Sicilia malcontenti diffusi circa la repressione di Bronte; ancora più accentuati divennero all’indomani dell’Unità, con l’affermazione del fenomeno del “Brigantaggio”. Tale forma di banditismo si esprime in azioni di rivolta da parte del proletariato rurale e di ex militari borbonici, spinti da diverse problematiche sociali ed economiche. Giustino Fortunato, personalità storica e politica rilevante e uno dei rappresentati più importanti del Meridionalismo sosteneva che il brigantaggio fosse espressione della miseria in cui versava il sud e che per eliminarlo era necessario evitare l’isolamento del meridione e attuare un’azione politica volta al suo sviluppo con la costruzione di una rete ferrovia, stradale e infrastrutturale, con la promozione dell’attività industriale. Con l’Unità, non furono posti sotto un unico Stato popoli eterogenei per tradizioni, cultura e mentalità, ma vennero “nazionalizzate” le diverse condizioni economiche dei singoli territori. Di fronte ad un Nord dal ceto borghese pieno di iniziative e volto agli investimenti capitalistici e ad un Sud in cui emergevano un sistema agricolo primitivo e semi-feudale, la politica fiscale adottata dal nuovo governo non fu omogenea, in quanto il primo venne avvantaggiato e il secondo ulteriormente impoverito. Essa “faceva sì che l’Italia settentrionale, la quale possedeva il 48% della ricchezza del paese, pagava meno del 40% del carico tributario, mentre l’Italia meridionale, con il 27% della ricchezza, pagava il 32%” Pertanto,pur considerando quei tentativi di superamento di tale situazione, riteniamo che poco e nulla è stato fatto: se, da un lato, l'avvenuto processo unitario non ha fatto altro che aggravare le condizioni preesistenti di regressione e arretramento socio-economici, dall'altro, bisogna anche riflettere sulla serie di scogli insuperabili ed endemici del Sud e, nel nostro caso, della Sicilia, come la presenza di una mentalità clientelare, legata agli interessi della borghesia terriera e alla classe baronale, l'omertà,in una spirale intrecciata di cause e conseguenze, confluenti le une nelle altre, in cui,risulta, a volte, poco o per niente possibile individuare il confine tra le prime e le seconde. Da quanto detto, abbiamo potuto evincere come l'analisi delle condizioni economiche del Sud non era soltanto indispensabile per comprendere le differenze rispetto al Nord e la politica inerte del nuovo regno, incapace di superare tale impasse, ma era soprattutto necessaria per far capire agli italiani, e alle personalità influenti, che la “Questione Meridionale” era innanzitutto una questione umanitaria e sociale. Questo lo hanno intuito intellettuali e uomini di cultura come, ad esempio, Luigi Pirandello e Giovanni Verga

sabato 31 agosto 2013

Morgana ed il conte Ruggero

Morgana
Dalla costa calabra che da sullo Stretto di Messina si assiste, molto raramente in verità, ad un fenomeno ottico-meteorologico per cui la costa siciliana appare non solo ravvicinata ma anche riflessa al centro dello stesso mare. Quando questo fenomeno si verifica oltre alla costa siciliana riflessa nelle acque si vedono anche le case, le persone e gli alberi. Il fenomeno è visibile solo dalla costa reggina, quella che fu definita da D'Annunzio "il più bel chilometro d'Italia": un luogo magico, in grado di regalare ai fortunati passanti un vero e proprio incantesimo opera di una fata. È detto infanti della "Fata Morgana" o "Fata delle Acque" e viene abbinato a Morgana fata di Scin, figura celtica, sorellastra e amante di Artù che possedeva il dono dei giochi d'aria e d'acqua.
Molte sono le leggende fiorite attorno a questo raro e fascinoso evento ma quella più conosciuta, si riferisce a Ruggero il Normanno. Ruggero, un giorno di settembre dell'anno 1060, passeggiando solitario su una spiaggia della Calabria e guardando la costa peloritana meditava sul modo migliore per poter conquistare la Sicilia, allora occupata dagli Arabi che ne avevano fatto una terra ricca e prosperosa e quindi appetibile. Qualche tempo prima, alcuni cavalieri messinesi erano riusciti a raggiungerlo a Mileto e gli avevano esposto il desiderio della gente siciliana di averlo come liberatore e signore.Ciò non tanto perché gli Arabi si comportassero da usurpatori o tiranni della povera gente, anzi molto avevano fatto per la Sicilia, per renderla prospera e indipendente, ma perché ultimamente i loro Kaid erano entrati in guerra tra di loro e ciò era causa di stragi, razzie e disordini e a farne le spese erano tutti i Siciliani, ricchi o poveri che fossero.
 L'impresa che Ruggero meditava si presentava difficile e rischiosa anche perché poteva contare solo su uno sparuto gruppo di cavalieri e fanti. Narra la leggenda che mentre era intento a meditare su queste cose e a respirare l'intenso odore di zagara che proveniva dagli aranceti in fiore, gli parve udire una musica di guerra, intramezzata da lamenti e sospiri di schiavi, e musica felice. Ruggero si fermò incuriosito e poiché abitava lì nei pressi un vecchio e saggio eremita, Ruggero vi si diresse e, dopo averlo cortesemente salutato, gli domandò notizie su quel fatto così misterioso ed insolito. L'eremita allungò il braccio e con un dito gli indicò la costa siciliana. - Lì gli aranci sono in fiore... - gli disse - Lì c'è musica ma anche pianti... Lì ballano i saraceni e piangono i cristiani! Dicono che sei potente e cristiano... Perché non combatti e muori per la tua fede? Ruggero non seppe che rispondere, continuò a passeggiare pensieroso. D'un tratto, davanti a lui, il mare prese a ribollire e dalla spuma apparve la testa di una bellissima donna, era Morgana, la fata, sorella carnale di re Artù. Essa ha nel mondo varie regge ma qui, proprio in mezzo allo Stretto, ha il suo più bello e antico palazzo, meta di tutte le fate e maghe del Mediterraneo. Essa, a poco a poco, emerse e Ruggero la vide salire su un cocchio bianco-azzurro tirato da sette cavalli bianchi con la criniera azzurra. Morgana stava per muoversi verso sud, quando vide Ruggero passeggiare sulla spiaggia a passi lenti. - Che pensi, o Ruggero? - gli gridò Morgana dirigendosi verso di lui - Se è come immagino, salta sul mio cocchio e subito ti porterò in Sicilia, assieme ad un possente esercito... Ruggero sorrise e salutò Morgana poi, gentilmente ma con fermezza rispose: - Io ti ringrazio, o Morgana, ma non posso accettare il tuo aiuto. Ma se la Madonna che amo e i santi che mi proteggono mi daranno la loro benedizione, io andrò alla guerra sul mio cavallo e trasporterò l'esercito con le mie navi e vincerò per valore e non per gli incantesimi di una fata.Allora  Morgana agitò tre volte in aria la sua bacchetta magica e lanciò in acqua tre sassi bianchi. - Guarda, o Ruggero, la mia potenza!... E in quel punto apparvero sull'acqua case e palazzi, strade e ville, e tutta la costa siciliana apparve così vicina da poter essere raggiunta solo con un solo salto. - Eccoti la Sicilia! Salta su di essa, raggiungi Messina ed io farò in modo che in essa troverai il più forte e il più numeroso esercito che tu abbia mai avuto in battaglia. Ruggero anche se meravigliato da tanto incantesimo rifiutò ancora l'offerta. - O Morgana! Tu sei una grande fata, degna della stirpe da cui discendi. Ma non sarà con l'incantesimo che io libererò la Sicilia dal paganesimo. Essa mi sarà data da Cristo nostro signore e da sua madre, la Vergine Maria che io ho già scelto e adottato come madre mia divina. Ma grazie, per il pensiero... Morgana non attese di più , agitò nuovamente la sua bacchetta magica e i castelli, le strade e le ville sparirono di colpo, il suo cocchio si mosse veloce trainato dai sette cavalli verso le spiagge dell'Etna. Ruggero, come sappiamo, sbarcò poi in Messina nella primavera del 1061 e in circa 30 anni di guerra, spesso condotta con accanimento e ferocia, senza esclusioni di colpi, riuscì a strappare la Sicilia, una delle terre più ricche e più progredite di quel tempo, ai musulmani. 

lunedì 26 agosto 2013

I FLORIO

Cap.V Le prime difficoltà

Padiglione Florio Esposizione Internazionale di Milano 1906 Arch. E. Basile
 Nel 1896, con le dimissioni di Crispi, il commissariamento della Sicilia e il successivo avvento di Giolitti cominciarono anche i guai per i Florio.Nella città di Palermo che si impoveriva sempre più, si aggiunse il problema della disoccupazione. Da questa necessità nacque il progetto, caldeggiato da Ignazio Florio, di costruire un cantiere navale. Ma, come vedremo, questo grande progetto non riuscirà a risollevare le sorti della Sicilia, come se l’isola soffrisse di un deficit politico e morale. Nel 1899 i Florio furono costretti a sottoscrivere un’ipoteca sulle isole Egadi, cominciando a subire i colpi della crisi di tutto il sistema industriale. Anche se l’azienda restava sana, anche se le Tonnare erano due gioielli, l’indebitamento progressivo nei confronti delle banche impose la dismissione di alcune aziende. Ormai la situazione finanziaria dei Florio precipitava di giorno 
giorno, sino a convincere a fine 1908 la banca milanese, del cui CdA peraltro il commendatore Ignazio faceva parte e continuerà ancora a far parte almeno sino al 1925, dell’opportunità di intervenire, per evitare il rischio che le loro azioni finissero ad acquirenti di scarsa potenzialità finanziaria ed estranei al gruppo ed agli interessi che fanno capo alla Navigazione Generale Italiana», con grave turbamento del mercato e della vita stessa della Ngi, che era tra i suoi principali clienti. Impose perciò a Casa Florio di cedere «alle Società di navigazione “La Veloce” e “Italia”, affiliate alla Navigazione Generale Italiana, l’intero lotto di queste azioni, pari a un valore di circa 12.800.000 lire. Ignazio Florio non poté rifiutarsi di accettare, conservando il diritto di riscatto da esercitare entro il 10 maggio 1909 a un prezzo di lire 425 cadauna (lire 13.260.000) oppure entro il 10 novembre successivo a lire 440 cadauna (lire 13.728.000), ma il suo entourage considerò l’operazione un vero e proprio colpo di mano e il suo legale, l’avvocato Giuseppe Marchesano, giudicò “usuratiche” le condizioni, “ledenti gli interessi morali e materiali dei Florio”, i quali indebitati com’erano mai avrebbero avuto la possibilità di riscattarle. Per Webster il comportamento della Banca Commerciale verso Casa Florio (larghe aperture di credito e successiva acquisizione delle azioni Ngi di proprietà Florio) era motivato dalla volontà di «unificare tutte le compagnie marittime addette al servizio postale sovvenzionate dallo Stato e controllate dalla Navigazione Generale, onde negoziare nuovi sussidi con il governo da una posizione di forza corrispondente in pratica ad una sorta di monopolio
 La cruda verità è che i Florio non riuscirono veramente trasformare l’economia della Sicilia e a permetterle un decollo competitivo con il Nord. La Sicilia in linea di massima rimaneva sottosviluppata e priva di infrastrutture essenziali. Prime tra tutte le ferrovie. La Fonderia Oretea era certamente l’officina più attrezzata e moderna dell’isola, ma dopo l'unificazione d'italia non resse il confronto con quelle italiane. Il suo decollo avvenne non perché trainata dalle richieste del mercato interno ma perché essa operava come officina delle navi dei Florio. In Sicilia mancava il mercato e non potevano essere i Florio a crearlo da soli.

Il declino

 Il ricordo dell'epopea dei Florio continua ad esercitare un fascino irresistibile in Sicilia. Per l’immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere, i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito. Rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali del sud, quel tempo, sempre nostalgicamente rievocato, in cui anche al sud fiorivano iniziative industriali vincenti. E come scrive Maurice Aymard, la vicenda dei Florio è stata identificata “con quella della Sicilia pre e post-unitaria, cioè la Sicilia delle grandi speranze, delle attese frustate e delle illusioni perdute… Questo incontro fra un destino familiare e quello dell’isola dà forza e durata al mito che essi incarnano o che sono incaricati di incarnare”.

domenica 25 agosto 2013

I FLORIO

Donna Franca Florio 1903
Cap.IV  L'interesse per l'arte e la cultura

La famiglia Florio lasciò una impronta di sé anche nel mondo dell’arte. Essi avevano capito che la Sicilia possedeva da secoli una grande capacità artigianale e manuale e pensarono di farla rivivere. Naturalmente hanno avuto la fortuna di incontrare architetti come Damiani Almeyda e Ernesto Basile ed è con questo architetto che il legame si concretizza con realizzazioni architettoniche all’unisono con l’art nouveau europea (le più importanti sono il villino Basile, committenza di Vincenzo Florio, e Villa Igea). E' proprio nella villa Igea e nel villino Florio, che si realizza una formidabile convergenza fra architetti, maestranze, decoratori, pittori, scultori, che parla il linguaggio internazionale del modernismo. E poiché in quel periodo Palermo era ancora una città in cui ci si curava per il clima loro ospitarono la crema della buona società europea e anche famiglie regnanti come i reali d’Austria e di Russia e, naturalmente quelli d’Italia. Ignazio junior e la sua bellissima consorte Franca, figlia del barone di San Giuliano Pietro Jacona e di Costanza Notarbartolo vivono infatti da protagonisti il periodo della Bella Epoque.

 Donna Franca è il prototipo di donna che coniuga l’ideale estetico di eleganza con il gusto della famiglia. E’ un punto di riferimento nei salotti della mondanità mittleuropea. Si divide tra i salotti delle palazzine del periodo liberty palermitano, attirando su di sé, per il suo fascino e bellezza, gli apprezzamenti del Kaiser Gugliemo II, spesso ospite alla loro villa dell’Olivuzza, e di Vittorio Emanuele III.

 I Florio fondarono alcuni dei più importanti teatri lirici del mondo come il teatro Massimo e il teatro Politeama. Questi teatri ebbero il merito di convogliare nella città turisti colti che andavano alla ricerca delle novità liriche che a quei tempi, grazie ai Florio, si facevano a Palermo. La cosa interessante per Palermo in quegli anni è che si sviluppò un sistema dell’arte. I Florio contribuirono in maniera significativa a innestare e coadiuvare questo sistema. In città si svilupparono dei circoli di conversazione in cui l’intellighenzia, gli imprenditori, i borghesi e anche gli uomini dell’amministrazione che ne facevano parte cercavano di promuovere il dialogo fra arte e industria e arte e istituzioni pubbliche.
Manifesto dell'esposizione del 1908
L’Esposizione Nazionale del 1891 fu uno dei grandi motori dello sviluppo urbanistico della Palermo borghese, moderna. L’Esposizione ebbe altresì l’ambizione di qualificare definitivamente l’immagine imprenditoriale e moderna della Sicilia. I Florio erano molto attivi nella promozione, nella discussione, ma anche nel far circolare queste idee e nel farle entrare in maniera produttiva nel loro sistema. Florio nella Palermo di fine Ottocento, inizio Novecento erano di gran lunga il potentato economico più importante, erano un po’ i padroni della città perché erano i più ricchi, i più potenti per relazioni politiche e anche i più moderni”. Ignazio già negli anni Ottanta aveva già puntato molto su una banca e su un uomo politico. La banca era il Credito mobiliare italiano e il Banco Florio diventò la Filiale del Credito Mobiliare. L’uomo politico era Francesco Crispi che sicuramente si legò alla fortuna dei Florio negli anni Ottanta quando la Navigazione Generale poté utilizzare le convenzioni marittime e dunque le laute sovvenzioni dello Stato per espandere le linee di navigazione. I Florio avevano la grande capacità di rappresentare i loro interessi e li rappresentavano come gli interessi della Sicilia e con questo godevano anche di grande prestigio perché sostenevano che se loro andavano bene andava bene la Sicilia.

sabato 24 agosto 2013

I FLORIO


Cap.(lll)  I Florio ed i trasporti marittimi

Villa Florio, Viale Regina Margherita alla Ziza Palermo (Arch. E. Basile


 La svolta vincente per i Florio, come abbiamo già detto, è legata allo sviluppo della navigazione a vapore: Vincenzo e il figlio Ignazio colgono l'onda della modernizzazione e creano una flotta, che consente a Ignazio di collocarsi ai vertici dell'high-society internazionale. Importante fu l’incontro fra Benjamin Ingham ed il giovane Vincenzo Florio, che favorì la realizzazione di alcune iniziative sul piano commerciale ma anche su quello industriale, tra le quali ricordiamo la già citata costituzione della Società dei Battelli a Vapore siciliani. La società assicurava il collegamento tra Napoli, Palermo e Marsiglia e tra i diversi porti della Sicilia. L’incontro con Ingham ebbe notevole importanza anche per l’economia siciliana in generale. Con l'Italia unitaria nasceva anche l'esigenza di una rete di collegamenti adeguati alla nuova realtà.  Ciò spinse Vincenzo Florio a costituire la "Società in Accomandita Piroscafi Postali", che godeva di una convenzione in denaro con il governo nazionale, che gli affidò i servizi attorno alla Sicilia, verso Genova, verso Napoli e verso Malta.
Le navi, inizialmente 6, già nel 1877 erano diventate diventate 41. Attorno al 1880 i Florio iniziarono il servizio verso il Nord America e iniziò anche il trasporto degli emigranti; questo servizio fu visto molto bene dalle autorità americane e il prestigio internazionale dei Florio aumentò sempre più. Il problema dei trasporti marittimi era cruciale all'epoca ed il potere politico favorirà nel 1877 l'acquisizione da parte della "Società Piroscafi Postali", a prezzi di bancarotta, tutto il materiale della "Trinacria", altra grande compagnia di navigazione. A concorrere con la compagnia dei Florio rimaneva dunque solo la "Rubattino" di Genova; ma nel 1881 queste due società, si fonderanno dando vita alla compagnia della "Navigazione Generale Italiana" (Ngi) che ebbe il monopolio dei collegamenti marittimi. Dalla fusione di questa società con la Citra nascerà ai primi del '900 la compagnia Tirrenia.


La nascita della Navigazione Generale rispondeva ad un'esigenza avvertita in tutti gli ambienti, dal nord al sud della Penisola: creare una sorta di monopolio che potesse competere con le grandi compagnie straniere di navigazione già presenti nel Mediterraneo. In verità, all’appuntamento dell’81 Florio è molto più pronto e potente di Rubattino, ed attorno alla Navigazione Generale Italiana Ignazio Florio riesce a costruire un sistema imprenditoriale diffuso che fa capo soprattutto alla grande produzione enologica, ai vini e alla realizzazione delle tonnare delle Egadi. Questa sarà l’azienda che fino alla fine costituirà un cespite attivo. Sempre sotto il patrocinio di Vincenzo Florio sorse a Palermo la "Fonderia Oretea", moderna industria metallurgica che doveva essere complementare alle esigenze della sua flotta. A coronamento delle imprese produttive non gli mancarono conferimenti di cariche istituzionali sia nel Regno delle Due Sicilie che, successivamente, nel Regno d'Italia. Riuscì inoltre a far parte del Consiglio Superiore della Banca Nazionale del Regno, la più importante autorità economica del tempo. La fortuna che alla sua morte, avvenuta nel 1868, lasciò a suo figlio Ignazio (senior) fu valutata nell'astronomica cifra di L. 300.000.000.


Ignazio Florio junior

Ignazio senior sposò la baronessa Giovanna D'Ondes, da cui ebbe 4 figli: Vincenzo (morto a meno di un anno dalla nascita), Ignazio junior, Giulia e Vincenzo destinato ad essere l'ultimo esponente dei Florio. Il raggio d'azione e il volume di affari della famiglia Florio era destinato ad allargarsi così come divenne sempre più profonda la loro impronta sul costume, sulla cultura e l'economia del tempo. Ignazio (senior) creava industrie dotate di moderni servizi per gli operai, costituiva un assistenziale Istituto per ciechi, iniziava la costruzione del futuro teatro Massimo.