venerdì 18 gennaio 2013

Le Cave di Cusa

Cave di Cusa
Le Cave di Cusa (o Rocche di Cusa) sono un sito archeologico,che si trova in territorio di Campobello di Mazara, a SW di Castelvetrano, in provincia di Trapani, e precisamente a 13 km a nord-ovest delle rovine diSelinunte. Le cave erano le prime fornitrici di materiale per i templi della città di Selinunte.  La pietra, un tufo compatto e resistente particolarmente adatto alla costruzione, venne estratta per più di 150 anni, a partire dalla prima metà del VI sec. a.C. L'interruzione dei lavori, dovuta alla guerra che Selinunte dovette affrontare contro l'ira cartaginese (con la conseguente distruzione della città), fu improvvisa. Le cave vennero abbandonate nell'arco di pochissimo tempo e così le abitazioni di coloro che vi lavoravano. E questa una delle caratteristiche peculiari del luogo ove giacciono ancora, metà scavati, gli enormi rocchi destinati ai templi. Il considerevole numero di questi blocchi permette di stabilire che le persone impegnate nelle cave,erano circa 150. La tecnica di estrazione era lunga e complessa.Il blocco veniva lavorato in loco e direttamente scavato nella roccia. Gli utensili impiegati erano picconi, seghe di bronzo e cunei. Per spaccare gli strati più duri venivano utilizzati cunei di legno inseriti in fori e successivamente bagnati perchè gonfiandosi, rompessero la pietra. Una volta terminato, il blocco veniva staccato dal fondo, estratto tramite argani (i blocchi più leggeri) o fatto scivolare su piani inclinati.I profondi solchi a forma di U che si possono notare in alcuni blocchi squadrati servivano proprio a far passare la corda per sollevarli (se ne vedono anche ad Agrigento, nel tempio di Giove). Molti blocchi presentano invece buchi di forma quadrata alle due estemità. Qui venivano fissati dei perni per facilitare lo spostamento e [a messa in posa. Per il trasporto si utilizzavano armature lignee dotate di ruote e trainate da buoi e schiavi. Una pista larga e rocciosa congiungeva le cave a Selinunte, distante 12 km.

giovedì 17 gennaio 2013

L’incanto di Mozia

Mozia
Giovane di Mozia
L'isola, estesa per 45 ettari,
ha una forma quasi circolare 
e si trova al centro del tratto di mare conosciuto come Stagnone di Marsala (oggi riserva naturale regionale). Il suo lindore e il suo fascino sono un patrimonio comune a tutti coloro che abbiano almeno una volta avvicinato quest’isola, unica per collocazione ambientale e, soprattutto, per i resti dell’antica città fenicia e punica che vi sorse e la occupò interamente. Fu Giuseppe Whitaker, nel 1902, ad acquistare l’isola e a riconoscerne lo straordinario valore ambientale e archeologico. Whitaker esplorò Mozia portando alla luce ampi tratti di mura, le porte urbiche e diverse parti dei monumenti maggiori che costellavano l’isola, dal Kothon al Santuario del Cappiddazzu, al Tofet. Acuto osservatore della natura e delle opere dell’uomo, Whitaker comprese il valore immenso dell’isola, 45 ettari di resti archeologici testimoni della presenza dei Fenici in Sicilia Occidentale, al centro del Mediterraneo, sepolti sotto una basso strato di terreno agricolo formatosi in secoli di abbandono. La passione per le antichità lo portò a condurre scavi e a raccogliere nella sua villa sull’isola una ricchissima collezione di reperti. Un nuovo impulso alle ricerche archeologiche sull’isola fu portato a partire dagli anni ‘60 culminate, nel 1979 con il ritrovamento della statua del “Giovane di Mozia”, un capolavoro dell’arte greca arcaica, . Nel frattempo l’istituzione della Fondazione Whitaker, aveva reso Mozia un luogo d’elezione per l’archeologia fenicio-punica, oltre che un’attrazione aperta a tutti i visitatori della Sicilia Occidentale. Oggi la Fondazione Whitaker offre a Mozia la possibilità per tutti di fare un salto in un passato affascinante, immerso in una natura sempre sorprendente dai colori e dai profumi intensi, tipici della Sicilia. 

http://www.youtube.com/watch?v=2nM7jFs0fmc

La storia della Fata Morgana

La leggenda ci tramanda che, dopo aver condotto suo fratello Artù ai piedi dell'Etna, Morgana si trasferisce in Sicilia tra l'Etna e lo stretto di Messina, dove i marinai non si avvicinano a causa delle forti tempeste, e si costruisce un palazzo di cristallo. Sempre in base alla leggenda, Morgana esce dall'acqua con un cocchio tirato da sette cavalli e getta nell'acqua tre sassi, il mare diventa di cristallo e riflette immagini di città. Grazie alle sue abilità, la Fata Morgana riesce ad ingannare il navigante che, illuso dal movimento dei castelli aerei, crede di approdare a Messina o a Reggio, ma in realtà naufraga nelle braccia della fata. La Fata Morgana non è altro che un fenomeno ottico che si ammira spesso nello stretto di Messina e nell'isola di Favignana a causa di particolari condizioni atmosferiche. Guardando da Messina verso la Calabria, si vede come sospesa nell'aria l'immagine di Messina e, viceversa, guardando da Reggio Calabria verso Capo Peloro, si vede nello stretto Reggio.

mercoledì 16 gennaio 2013

L'isola Ferdinandea ovvero: l'isola che non c'è

Isola Ferdinandea
Se ne sono occupati gli storici, i geologi, i politici, i diplomatici, i vulcanologi, ma l'isola Ferdinandea ha tutti gli elementi del mito e della leggenda. Nel web sono molti i siti che ne parlano, alcuni in termini rivendicativi,sulla scorta del fatto che, all'epoca della sua comparsa, l'Italia non era un'entità politica. L'Isola Ferdinandea è conosciuta oggi come "Banco Graham", ovvero una vasta piattaforma rocciosa a circa 6 metri dalla superfice marina tra Sciacca e l'isola di Pantelleria. Costituisce la bocca di un vulcano sommerso che eruttando, nel 1831, vide l'isola crescere fino ad una superficie di circa 4 km2 e 65 m di altezza. Alla conclusione dell'episodio eruttivo si verificò una rapida erosione e l'isola scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832, prima di ogni soluzione del problema sorto intorno alla sua sovranità.Non appena si diffuse la notizia dell'apparizione del piccolo lembo di terra, accorsero, ad osservare l'evento, navi e scienziati di vari Paesi, dal Regno delle Due Sicilie, alla Svizzera, alla Germania, alla Gran Bretagna. Si susseguirono visite da parte di vari studiosi, tra cui il prof. Karl Hoffman, geologo dell'Università di Berlino. Poiché Re Ferdinando aveva da poco visitato Palermo, il prof. Carlo Gemellaro suggerì che l'isola gli fosse intitolata. Per effetto di un regio decreto del 17 agosto, l'isola Ferdinandea fu annessa al Regno delle Due Sicilie. L'isoletta suscitò anche l'interesse di alcune potenze straniere alla ricerca di avamposti strategici nel mediterraneo. Così il 2 agosto l'Inghilterra prese possesso dell'isola chiamandola "Graham", suscitando le proteste dei siciliani e dello scopritore capitano Corrao. Come gli inglesi, anche i francesi ne rivendicarono il possesso,anzi i francesi la ribattezzarono "Iulia" in riferimento alla sua comparsa avvenuta nel mese di luglio, poi posero una targa a futura memoria e innalzarono sul punto più alto la bandiera francese. Allora Ferdinando II inviò sul posto il capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, piantò la bandiera borbonica battezzando l'isola "Ferdinandea" in onore del sovrano. La questione sembrava chiusa,invece giunse sul posto la marina britannica e fu deciso di rimettere la questione ai rispettivi governi. A fine ottobre del 1831 il governo borbonico prendeva posizione ufficiale ricordando ai governi di Gran Bretagna e Francia che a norma del diritto internazionale la nuova terra apparteneva alla Sicilia. Col terremoto del 1968 nella Valle del Belice, le acque circostanti il banco Graham furono viste intorpidirsi e ribollire. Forse era un segnale che l'isola Ferdinandea stava per riemergere. Così non fu, ma si segnalò un movimento nelle acque internazionali di alcune navi britanniche della flotta del Mediterraneo.  A scanso di equivoci i siciliani posero sulla superfice del banco Graham una targa in pietra tra le cui righe si legge che " l'Isola Ferdinandea era e resta dei Siciliani". Bisogna sottolineare che il "Banco Graham” (isolaFerdinandea) potrebbe provocare tsunami se tornasse ad eruttare perché si tratta di uno dei coni accessori del vulcano sottomarino Empedocle, situato a circa 40 km da Capo Bianco, paragonabile all'Etna per la larghezza della base.




martedì 15 gennaio 2013

Versi di Giosue Carducci sulla Sicilia



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Aci e Galatea
Il fascino che le leggende classiche siciliane esercitarono nei confronti dei poeti di ogni tempo è testimoniata anche in una delle odi composte da Giosué Carducci, premio Nobel nel 1906, intitolate “Primavere Elleniche“.
In questi pochi versi Carducci evoca tre famose leggende siciliane del periodo classico. La leggenda della  ninfa Galatea e il suo amante Aci che per sfuggire alle minacce del geloso rivale Polifemo viene trasformato in un fiume, della “ennea” Proserpina rapita da Plutone nei pressi del lago di Pergusa e portata nell’Ade per sei mesi all’anno ( i mesi dell’autunno e dell’inverno), e della bellissima ninfa Aretusa trasformata nella fonte Aretusea di Siracusa dalla dea Artemide, per sfuggire al cacciatore Alfeo che si era perdutamente innamorata di lei.
Il toscano Carducci canta una Sicilia che  conosceva  solamente attraverso le  leggende  mitologiche :infatti non ebbe mai modo di visitare i luoghi in cui si erano svolti i fatti che lo avevano ispirato.

Sai tu l’isola bella, a le cui rive
manda Jonio i fragranti ultimi baci,
nel cui sereno mar Galatea vive
e sui monti Aci?
Amor fremono, amore, e colli e prati
quando la Ennea dai raddolciti inferni
torna col fior dei solchi a i lacrimati
occhi materni.
Amore, amor, sussurrano l’acque, e Alfeo
chiama nei verdi talami Aretusa
ai noti amplessi, ed al concerto acheo
l’itala musa.

lunedì 14 gennaio 2013

La leggenda di Aci e Galatea

Aci e Galatea
Tale leggenda ha un’origine greca e spiega la ricchezza di sorgenti d’acqua dolce nella zona etnea. Aci era un pastorello che viveva lungo i pendii dell’Etna. Galatea, che aveva respinto le proposte amorose di Polifemo, lo amava. Poliremo, offeso per il rifiuto della ragazza, uccide il suo rivale nella speranza di conquistare la sua amata. Ma Galatea continua ad amare Aci. Nereide, grazie all’aiuto degli dèi, trasforma il corpo morto di Aci in sorgenti d’acqua dolce che scivolano lungo i pendii dell’Etna. Non lontano dalla costa, vicino l’attuale Capo Molini, esiste una piccola sorgente chiamata dagli abitanti del luogo "il sangue di Aci" per il suo colore rossastro. Sempre nei pressi di Capo Molini esisteva un modesto villaggio chiamato, in memoria del pastorello, Aci. Nell’undicesimo secolo dopo Cristo un terremoto distrusse il villaggio, provocando l’esodo dei sopravvissuti che fondarono altri centri. In ricordo della loro città d’origine, i profughi vollero chiamare i nuovi centri col nome di Aci al quale fu aggiunto un appellativo per distinguere un villaggio dall’altro. Si spiega così, ad esempio, l’esistenza di Aci Castello (appellativo dovuto alla presenza di un castello costruito su di un faraglione che poi fu distrutto da una colata lavica nell’XI secolo) ed Acitrezza (la cittadina dei tre faraglioni).

I miti e le leggende della Sicilia

La Sicilia, una delle isole più importanti del Mar Mediterraneo, è forse la terra che più delle altre offre uno dei migliori scenari culturali e folcloristici in grado di provocare nel visitatore grande suggestione ed emozione. Culla di passate e varie dominazioni come quella dei remoti Fenici, Greci e Bizantini e dei “più vicini” Normanni, Spagnoli ed Austriaci. Crocevia di miti, leggende e tradizioni sacre e profane millenarie dalle radici che affondano nelle tradizioni greche, nella religione e nelle più profane credenze popolari. Queste sono solo alcune definizioni di tale isola che offre un’alta concentrazione artistica ed umana dai significati e contenuti elevati e profondi che contribuiscono ad aumentarne il fascino e la magnificenza. Contribuiscono ad aumentarne l’importanza e l’imponenza, inoltre, la sua storia millenaria, il fatto d’essere la patria di filosofi, santi, artisti, scienziati e poeti, le sue tradizioni ed i suoi valori. Se a tutto questo si unisce la maestosità delle sue caratteristiche ambientali, la bellezza del suo mare e delle sue montagne, lo splendore dei suoi monumenti, la bontà della sua cucina e la cordialità e forte senso dell’ospitalità dei suoi abitanti, si evince che la Sicilia offre uno scenario complessivo davvero unico nel suo genere.