martedì 26 febbraio 2013

L'odore delle mandorle amare

"Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati" (Gabriel Garcia Marquez, L’Amore ai tempi del Colera).
Valle dei Templi
 Secondo una antichissima leggenda il mandorlo nacque da uno di quegli amori disgraziati che vedevano protagonisti gli eroi, gli uomini o l’intera famiglia degli dei. Gli antichi Greci narravano che Fillide, una principessa Tracia, incontrò Acamante, figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani si innamorarono perdutamente ma Acamante fu costretto a proseguire con gli Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo aver atteso dieci anni che finisse la guerra, non vedendolo tornare con le navi vittoriose si lasciò morire per la disperazione. La dea Atena, commossa da questa struggente storia d’amore, decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Acamante in realtà non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata in albero abbracciò la pianta che per ricambiare le carezze fece prorompere dai suoi rami fiori anziché foglie. L'abbraccio si ripete ogni anno quando i fiori del mandorlo annunciano la primavera.

 Sono molte le implicazioni simboliche della Mandorla tra le quali la più diffusa è quella dell’iconografia tradizionale medievale. All’inizio del secolo scorso la provincia di Agrigento era il primo produttore mondiale e la mandorla rappresentava la principale fonte di reddito. Di questo frutto nulla veniva perduto: la legna della potatura serviva ad alimentare i forni per la cottura del pane, con il mallo esterno si lavorava un tipo di sapone molle chiamato "scibina", il guscio veniva utilizzato per alimentare i bracieri in casa. Agrigento non detiene più questo primato che tuttavia si sta cercando di recuperare. In primavera si svolge in questa città la sagra del "mandorlo in fiore che ricopre la Valle dei templi di un delicato manto bianco e rosa simile a quello di una sposa che annuncia la primavera. (A proposito di spose, sembrerà strano ma le mandorle sono molto utilizzate anche nella cucina dei Paesi settentrionali dell'Europa e in Svezia sono protagoniste di una tradizione molto simpatica. Alla vigilia di Natale si prepara un dolce di riso all'interno del quale viene nascosta una mandorla. La persona che la trova sarà la prima a sposarsi).

 I DOLCI ALLE MANDORLE

 Tutti i dolci che si preparano rimandano al mondo arabo e alle origini asiatiche della mandorla. Le mandorle amare contengono acido prussico (acido cianitrico prodotto dall’amigdalina) e non vanno dunque consumate in grande quantità. L’utilizzo della mandorla per la preparazione di dolci è molto vasto, ogni provincia o, addirittura, ogni città utilizza questo squisito frutto per la realizzazione di piatti tipici. Il Marzapane o Pasta Reale è, realmente, il principe tra dolci di mandorla. Si prepara con farina di mandorle o, in alternativa, con mandorle non tostare e frullate, e zucchero a velo in parti uguali. All’impasto viene data generalmente la forma di frutta o verdura utilizzando dei coloranti par alimenti (mandarini, fichi, ciliegie, pomodori, mele, uva, pesche, banane ...). Una tra le bevande più dissetanti preparata con le mandorle, oltre all'orzata, è il latte di mandorla, una bibita dissetante utilizzata soprattutto nelle caldi estate dei Paesi Mediterranei e, contemporaneamente molto energetica,lo sciroppo va servito allungato con acqua freschissima. Con il latte di mandorla si prepara anche la granita di mandorla, tipica prelibatezza siciliana della quale si può gustare anche la variante alla mandorle tostate.

venerdì 22 febbraio 2013

L’allievo sfida il maestro

Corace e Tisia
Il potere mistificatorio e le possibilità di manipolazione della parola sono esemplificati da un notissimo aneddoto, di cui sono protagonisti due antichi oratori, considerati i primi artefici di τέχναι ῥητορικαί, ovvero di «manuali teorico-pratici di arte oratoria». Si tratta di Corace e Tisia, che secondo la tradizione furono maestro e discepolo. La scena è a Siracusa, nella prima metà del V secolo a.C. Corace, maestro prestigioso e affermato, tiene una sorta di “scuola privata” alla quale si dirigono i giovani di belle speranze per imparare i rudimenti della retorica, una “scienza” ancora agli albori. Un giorno gli si presenta Tisia, un giovane intelligente e squattrinato, interessato ad apprendere i segreti del parlare in modo efficace e persuasivo.Corace si commuove, di fronte all’entusiasmo del suo giovane interlocutore e decide di accettarlo gratuitamente come discepolo, a questo patto: Tisia avrebbe pagato l’onorario al maestro nel momento in cui avesse affrontato e vinto il suo primo processo, dimostrando così di essere diventato oratore abile e in grado di guadagnarsi da vivere. Passa il tempo, le lezioni si sono ormai concluse, ma Tisia continua a rimandare il giorno del suo primo processo. Corace comincia a seccarsi, perché ritiene l’allievo ormai perfettamente in grado di destreggiarsi con l’arte che gli è stata insegnata. Ma poiché Tisia pervicacemente rimanda l’attività forense e si rifiuta di pagare il maestro, Corace lo cita in tribunale: «Se vincerò io il processo, mi dovrai pagare in virtù della sentenza dei giudici; se invece sarai tu il vincitore, dovrai pagarmi in virtù dei nostri accordi, visto che sarai riuscito a vincere il tuo primo processo. In ogni caso, caro il mio Tisia, sarai costretto a pagare». Ma l’allievo non si dà per vinto: «No, caro maestro. Se vincerò io il processo, non ti pagherò in virtù della sentenza dei giudici; se invece sarai tu il vincitore, non ti pagherò in virtù dei nostri accordi, perché non avrò vinto ancora il mio primo processo. In ogni caso non ti pagherò, maestro mio caro». Corace e Tisia non si accordano; non sappiamo come si concluda la disputa, ma in ogni caso essa poggia su una interpretazione immorale, eticamente spregevole, dell’insegnamento retorico: tutti e due sanno benissimo come il maestro va ricompensato. Purtroppo in Italia l’eredità retorica del passato, che ha agito bene su tutta la nostra tradizione letteraria e giuridica, ha anche questa connotazione immorale: questo è l’aspetto linguistico della nostra corruzione. Noi vediamo che in Italia l’abilità politica dei politici è soprattutto verbale, e il problema politico è un problema essenzialmente verbale: come giustificare le inadempienze.”

Corace e Tisia la scuola Siciliana di retorica

Scuola Siciliana di retorica
Quando si parla di colonizzazione greca della Sicilia e’ necessario tenere presente che quella colonizzazione non comporto’ ,come le altre, un rapporto di subordinazione o dipendenza dalla madre patria; Sicelioti,infatti, non ebbero mai l’animus ed il comportamento di chi si trova in condizioni di inferiorita’ rispetto ai Greci della madrepatria,ebbero sempre una forte coscienza di se’, coltivarono e svilupparono le varie attivita’ comprese quelle artistiche e letterarie, liberi da ogni soggezione, anzi furono spesso emuli dei Greci. Qui infatti si manifestaromo e sviluppaernoo spunti, contenuti, forme aventi caratteri propri e talvolta addirittura destinati a costituire esempi e indicazioni per il resto del mondo antico. Quando in Sicilia furono abbattuti i tiranni e cominciarono a svolgersi processi per la restaurazione delle proprieta’ private, proprio allora ,per la prima volta, essendo quella una popolazione dotata di acume, dai dibattiti giudiziari nacque l’arte del dire e ne misero per iscritto le regole i siciliani Corace e Tisia”. Cosi’ secondo Cicerone Aristotele attribuiva l’origine della retorica. Si dice infatti che Empedocle sia stato il primo, dopo Corace e Tisia, che abbia dato un impulso all'arte retorica. I Siciliani Corace e Tisia,quindi,furono i più antichi scrittori di retorica, poi ai quali seguì un uomo di quella medesima isola, Gorgia di Leontini, che fu, si dice, discepolo di Empedocle". Corace e Tisia siracusani, sono dunque nel V secolo a.C., gli autori del primo trattato di retorica del mondo antico. Ma la cosa piu’ importante e’ sicuramente considerare che i siracusani Tisia e Corace non solo furono i padri della retorica , ma influirono anche su tutta l’eloquenza posteriore e in particolare il principio della verisimiglianza fu tenuto presente da sofisti e pensatori come Gorgia , Protagora e Platone per non parlare dei tempi a noi molto vicini.

martedì 19 febbraio 2013

Il Barocco Siciliano

Modica la cattedrale

Scicli Palazzo Beneventano
Noto la cattedrale


Il Barocco si sviluppa in Italia nel XVI secolo. E’ uno stile dal gusto drammatico, fatto di masse in movimento, adorno di sculture e di chiaroscuri che giocano tra loro, creando luci ed ombre, in un incrocio emotivo e suggestivo. Nello stesso periodo temporale in Sicilia si costruisce, soprattutto, secondo uno stile autoctono o con un'architettura classicista tardo rinascimentale solo da poco fattasi strada nell'isola. Il barocco è per lo più ignorato. Nel 1693 con il terremoto che colpì il Val di Noto, l’esigenza della ricostruzione porta nell’isola una serie di architetti siciliani formatisi a Roma ed artisti venuti da fuori. Le possibilità costruttive ed applicative del barocco sono ingenti: nasce un sofisticato stile Barocco, popolare e colto, che si radica nel territorio siciliano. Lo stile impera per quasi tutto il XVIII secolo. Solo verso la fine viene sostituito, secondo la moda, dal neoclassicismo. La ricchezza delle decorazioni, nella storia sociale siciliana del periodo, ne fa lo stile eletto per esprimere ricchezza e nobiltà del proprietario, un vero marchio d’identità, che tutt’oggi viene letto secondo questo parametro. E’ il canto del cigno della nobiltà siciliana che, nel giro di un secolo, decadrà sotto i colpi della modernità. Antony Blunt nel suo libro "Barocco Siciliano" (1968) divide l'architettura barocca siciliana in tre grandi fasi: Prima fase : caratterizzata dalla presenza di edifici in stile paesano, contrassegnato da grande libertà e fantasia, particolarmente nel modo di trattare il dettaglio architettonico e le decorazioni plastiche, ma francamente provinciale e spesso ingenuo. Seconda Fase: caratterizzata da uno stile più elaborato, introdotto da architetti siciliani formatisi sul continente particolarmente a Roma e a Napoli. Terza fase: caratterizzata da una evoluzione dello stile romano verso una visione che più si adatta alle tradizioni e alla cultura locali. A proposito della terza fase Blunt scrive: “Nella terza fase gli architetti locali, superando lo stadio della discendenza ideale da Roma, enucleano uno stile nuovo e in alto grado personale. Nella facciata del Duomo di Siracusa, opera di Andrea Palma, nelle chiese di Rosario Gagliardi a Noto, Ragusa e Modica, nelle ville di Tommaso Napoli a Bagheria, come in molti edifici dei centri minori, gli architetti siciliani, pur mettendo a frutto gli insegnamenti ricevuti da Roma e da Napoli, adattano questi modelli alle esigenze e alle tradizioni locali costruendo un gruppo di monumenti che possono catalogarsi fra le più alte creazioni del tardo Barocco.”

lunedì 18 febbraio 2013

Morgantina il profumo della storia

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Sito Morgantina
 Nel piccolo comune di Aidone, vive una grande città: Morgantina! Un sito archeologico recentemente scoperto, che ha portato alla luce i resti dell’antica città greca. E’ un sito archeologico magico! Ha tutte le caratteristiche architettoniche ed urbanistiche della città greca per eccellenza. Scoperta nel 1955, grazie a dei lavori condotti dall’Università di Princeton. Dagli scavi sono emersi resti databili dalla metà del V alla fine del I secolo a.C. Tra questi la bellissima statua di Venere Morgantina Visitando il sito ci si immerge nel passato e si rivivono gli ambienti di quest’antica città, dall’agorà all’acropoli, dalle mura di cinta alle aree sacre… In due ore si riesce a visitare tutto il sito e in più si può completare con la visita al Museo archeologico.

giovedì 14 febbraio 2013

Scicli citta patrimonio dell'unesco




« È la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna... Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle... »
(Elio Vittorini )

Scicli (Scichili in siciliano) è un comune della provincia di Ragusa. Monumentale città barocca dalle forme di un eccelso presente vivente, nel 2002 il suo centro storico è stato insignito del titolo di Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO, insieme con la Val di Noto.

Un angolo gradevole di Scicli, il Municipio con accanto San Giovanni  - SCICLI - inserita il 06-Mar-12

Un angolo gradevole di Scicli il Municipio accanto San Giovanni




 Scicli città patrimonio dell'unesco


mercoledì 13 febbraio 2013

Breve storia del Vino Siciliano

Ordinazione scritta e firmata
Bacco
La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo e, certamente, è la più importante per arte, storia ed attività economiche. In questa terra dall'antica vocazione per la coltura della vite, i coloni greci, giunti a Naxos, per primi si dedicarono “in maniera professionale” alla cultura della vite, dando inizio alla produzione degli ormai celebri vini siciliani. I Fenici, dal canto loro, audaci navigatori e mercanti di razza quali erano, fecero dei vini siciliani uno dei prodotti più importanti per gli scambi commerciali di quell'epoca. Il Marsala ed il Moscato , prodotti nelle storiche Cantine Siciliane, ne sono ancora oggi testimonianza. In Sicilia, infatti, l'uva rappresenta ancora una delle risorse di maggior rilievo, per qualità e quantità, nel rendere l'isola famosa in tutto il mondo. Oggi il vino siciliano sfiora un volume d'affari di centinaia di milioni di euro. I vini siciliani rappresentano il fiore all'occhiello della eruzione nel settore agro-alimentare siciliano. Il vino siciliano è il risultato di una produzione di qualità garantita: diversi vini siciliani possono vantare la Denominazione d'Origine Controllata e Garantita (DOCG), la Denominazione di Origine Controllata (D.O.C) e l'Indicazione Geografica Tipica (IGT). Ma Sicilia è famosa, anche, per la produzione di vini dolci e liquorosi. Si va dal Marsala, conosciuto in tutto il mondo, alla Malvasia delle Lipari, dal Moscato di Noto e Siracusa al Passito di Pantelleria fino allo Zibibbo. Tra i vini siciliani da tavola, oltre al rinomato Nero D'Avola, ci sono il Bianco d'Alcamo, prodotto nelle province di Palermo e Trapani, l'Eloro bianco e rosso, il Contessa Entellina, il Delia Nivolelli, l'Etna, il Faro, Menfi, Monreale, Riesi, Santa Margherita di Belice e Sciacca, fino ad arrivare al Sambuca di Sicilia.
 Qualche dato a conferma della vocazione dell'isola alla produzione di vini: la Sicilia è la regione italiana con il più elevato patrimonio vitivinicolo di tutta la nazione, seguita dalla Puglia e dal Veneto; in Sicilia i terreni coltivati per produrre il miglior vino siciliano si concentrano per il 65% in collina, per il 30% in pianura e per il restante 5% in montagna; tra le province che danno vita ai migliori vini siciliani la più vitale è Trapani, seguita da Agrigento e Palermo.