venerdì 22 febbraio 2013

L’allievo sfida il maestro

Corace e Tisia
Il potere mistificatorio e le possibilità di manipolazione della parola sono esemplificati da un notissimo aneddoto, di cui sono protagonisti due antichi oratori, considerati i primi artefici di τέχναι ῥητορικαί, ovvero di «manuali teorico-pratici di arte oratoria». Si tratta di Corace e Tisia, che secondo la tradizione furono maestro e discepolo. La scena è a Siracusa, nella prima metà del V secolo a.C. Corace, maestro prestigioso e affermato, tiene una sorta di “scuola privata” alla quale si dirigono i giovani di belle speranze per imparare i rudimenti della retorica, una “scienza” ancora agli albori. Un giorno gli si presenta Tisia, un giovane intelligente e squattrinato, interessato ad apprendere i segreti del parlare in modo efficace e persuasivo.Corace si commuove, di fronte all’entusiasmo del suo giovane interlocutore e decide di accettarlo gratuitamente come discepolo, a questo patto: Tisia avrebbe pagato l’onorario al maestro nel momento in cui avesse affrontato e vinto il suo primo processo, dimostrando così di essere diventato oratore abile e in grado di guadagnarsi da vivere. Passa il tempo, le lezioni si sono ormai concluse, ma Tisia continua a rimandare il giorno del suo primo processo. Corace comincia a seccarsi, perché ritiene l’allievo ormai perfettamente in grado di destreggiarsi con l’arte che gli è stata insegnata. Ma poiché Tisia pervicacemente rimanda l’attività forense e si rifiuta di pagare il maestro, Corace lo cita in tribunale: «Se vincerò io il processo, mi dovrai pagare in virtù della sentenza dei giudici; se invece sarai tu il vincitore, dovrai pagarmi in virtù dei nostri accordi, visto che sarai riuscito a vincere il tuo primo processo. In ogni caso, caro il mio Tisia, sarai costretto a pagare». Ma l’allievo non si dà per vinto: «No, caro maestro. Se vincerò io il processo, non ti pagherò in virtù della sentenza dei giudici; se invece sarai tu il vincitore, non ti pagherò in virtù dei nostri accordi, perché non avrò vinto ancora il mio primo processo. In ogni caso non ti pagherò, maestro mio caro». Corace e Tisia non si accordano; non sappiamo come si concluda la disputa, ma in ogni caso essa poggia su una interpretazione immorale, eticamente spregevole, dell’insegnamento retorico: tutti e due sanno benissimo come il maestro va ricompensato. Purtroppo in Italia l’eredità retorica del passato, che ha agito bene su tutta la nostra tradizione letteraria e giuridica, ha anche questa connotazione immorale: questo è l’aspetto linguistico della nostra corruzione. Noi vediamo che in Italia l’abilità politica dei politici è soprattutto verbale, e il problema politico è un problema essenzialmente verbale: come giustificare le inadempienze.”

Nessun commento:

Posta un commento